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Violenza fuori dalle scuole, il pedagogista Sabattini: "Nulla è normale, soprattutto se c'è chi riprende col cellulare"

9 Ottobre 2023

di Raffaele Vitali

FERMO - Pugni e schiaffi alla fermata dell’autobus tra giovani studenti, è ormai la normalità? A questa domanda risponde Filippo Sabattini, pedagogista e formatore in forza a Wega, l’impresa sociale di Amandola e Pesaro da anni impegnata anche in progetti contro la dispersione scolastica e il disagio giovanile.

“Non è una normalità. Fino a che c’è qualcuno che la video riprende, significa che per un momento rappresenta una eccezionalità”.

Son le immagini a colpirla?

“Quello che mi colpisce, al di là dell’aggressività, è il ruolo di chi è attorno e riprende. Come se quel fatto esiste solo se viene ripreso e documentato. Un tempo c’erano il bullo, la vittima e la spalla, oggi in questi episodi ci sono ruoli nuovi, come quello del videomaker. Non c’è episodio, maschile o femminile, dove non ci sia qualcuno deputato a riprendere. Ci muoviamo tra vita vissuta e veduta”.

Nessuno interviene, si accetta e si guarda. Perché?

“Un paio di settimane fa c’è stata una sentenza del tribunale dove è stato condannato un adulto che di fronte a un’auto incendiata si è limitato a riprendere invece di aiutare. E questo significa che il fenomeno riguarda tutti. Ruolo sociale di chi riprende, come se avesse un compito per la società, come se fosse un reporter di guerra. Così invece dimentica la funzione umana. Intervenire è sporcarsi le mani, è entrare nella paura”.

Sempre più donne protagoniste di questi episodi. Stupito?

Simo di fronte a una modificazione della gestione dell’aggressività del femminile. Gli stereotipi di genere sono caduti da tempo. Per anni abbiamo inquadrato il bullismo come un’aggressione violenta tra gli uomini, mentre tra le donne ci si fermava al parlato, al denigrare e prendere in giro, all’isolare. Negli ultimi anni assistiamo a un fenomeno in cui non dico che si ribaltano i ruoli, perché le risse ci sono, ma vediamo sempre più episodi di aggressività femminile, che va oltre all’impulso maschile”.

Cosa passa nella mente delle ragazze?

“Guardo il filmato e se abbiamo ancora un minimo di funzione neuronale dovremmo vivere il dolore di chi viene buttata terra. Ma anche riflettere su chi pensa che solo con la violenza migliora la sua vita”.

Aspetti sociali in questi atti di violenza?

“C’è il tema dell’integrazione culturale, che è sempre più parte dell’aggressività femminile. È un litigio, un conflitto per amore o distruzione? Chi soffre per amore pensa al ‘lui è mio e ti caccio’, poi ci può essere la  questione di territorialità, lo spazio da non invadere. Parliamo di baby gang al maschile, ma ci sono sempre più situazioni che anche le donne fanno loro. Prendono il peggio dell’adulto, quel lottare”.

Quindi…

“Quel che mi colpisce non è il gesto nel femminile, hanno diritto di litigare le donne. Se si picchiavano due ragazzini forse avrebbe fatto meno scandalo? Da un lato il diritto femminile a far emergere la sua aggressività, dall’altro c’è il fallimento del nostro lavoro sull’educazione emotiva, il mettere il vissuto in parola, nel portare un’emozione, che può essere anche il dolore o un tradimento, nelle parole. Se anche l’animo femminile, più predisposto a dialogare su questi temi, sceglie la violenza, dobbiamo interrogarci su che fine abbia fatto il primato della parola. Dobbiamo tornare a parlare di educazione emotiva”.

La risposta deve essere repressiva o c’è modo di educare ancora?

“Se pensiamo di essere al ‘non ritorno’ e crediamo che la repressione sia la soluzione, abbiamo perso qualsiasi funzione di riflessione. Soprattutto se sono minori. Mi spaventa quando qualcuno dice ‘puniamoli a 14 anni’. Non dico che non si debba intervenire o segnalare, come fa la scuola con una sospensione, ma se di fronte a una difficoltà di educare noi adultizziamo gli adolescenti come vittime, abbiamo ceduto alla possibilità del recupero, quella che Colombo chiama la funzione della giustizia come recupero e non di punizione”.

Disagio sociale o bullismo?

“Se pensiamo alle definizioni classiche, non parliamo di bullismo. Ci sono dei parametri, la continuità, uno squilibrio di forze, dei ruoli prestabiliti. Il bullismo si manifesta per un periodo. Ma al di la della definizione, un fatto come questo racconta insieme ad altri dati sull’adolescente la fatica dei ragazzi di crescere. Il disagio per capirlo dobbiamo analizzarlo nel suo momento. Guardiamo all’aumento dei farmaci, all’abbandono della scuola, dobbiamo pensare che questo episodio racconta davvero una difficoltà. E questo si manifesta in due modi: sentirsi già grandi, quindi ti sconfiggo e ti butto a terra; avere paura di quel futuro e quindi l’aggressività è retroflessa e diventa disagio interno”.

Cosa pensa di chi posta sui social il video mostrando i volti?

“La prima cosa da non fare è veicolare l’immagine con i volti, perché può solo portare a ulteriori casi. Non capiamo che rafforza l’immagine dell’accaduto, favorisce i like. L’adulto non deve banalizzare e non deve farlo diventare un appuntamento televisivo, ma deve capire”.

Genitori, insegnanti, compagni: quale il ruolo di ognuno?

“In primis non parlare sopra a questi ragazzi, ma parlare con. Questo vale soprattutto per i genitori che devono capire cosa è passato nella testa delle ragazze, farle riflettere. Spesso chi agisce lo fa senza un piano, danno uno schiaffo e un attimo dopo sentono il senso di colpa. Per questo va parlato poco sopra l’evento, ma con chi è protagonista.

La scuola, nelle sue mille difficoltà, ha la possibilità di essere il luogo, ancora, dove poter partire da uno spunto che non moralizzi il ben e il male, ma crei un dialogo lento, dove mettersi nei panni uno nell’altro. Il compito degli amici non è schierarsi, il partire subito dal bene o male. Bisogna uscire dalla logica degli adulti ed entrare nell’alterità, quella del ‘potevo esserci io’. Questo è educarsi alla diversità, dobbiamo ritrovare l’orizzontalità dell’approccio. Tanti adulti che scrivono sopra ai ragazzi e pochi che li leggono. Per cui la comunità educante deve sforzarsi. E così i compagni”.

Raffaele Vitali - via Leopardi 10 - 61121 Pesaro (PU) - Cod.Fisc VTLRFL77B02L500Y - Testata giornalistica, aut. Trib.Fermo n.04/2010 del 05/08/2010
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