di Raffaele Vitali
MONTEGRANARO – Ci sono 35 aziende della moda italiane che sono salite sull’aereo per raggiungere Singapore e intercettare fette di mercato, incontrando buyer che arrivano da mezza Asia. Un mondo che per qualcuno è un obiettivo, per altri una risorsa, per Andrea Vecchiola e l’azienda calzaturiera Fessura di Montegranaro, una certezza. Da anni. E il motivo è semplice: strategia.
Andrea Vecchiola, per lei l’Oriente è di casa. Come è la situazione oggi?
“Stiamo vivendo la riapertura. Tornerò finalmente in Cina a luglio, la prima volta dopo tre anni e mezzo. Questo perché la dogana cinese ha riaperto i visti per business e ridotto i controlli. Si riaprono quindi anche le metropoli”.
Cina ripartita economicamente, i dati del lusso lo confermano. Lei quando se ne è accorto?
“I consumi interni sono ripresi da un anno. Le città più internazionali hanno continuato a soffrire la mancanza di turismo”.
Il mercato è cambiato?
“Intanto questa situazione ha spinto i cinesi a ricomprare prodotti locali. Hanno dei loro brand, ma sono tutti chiusi nel Paese. Penso anche che la chiusura sia stata allungata per favorire questo sviluppo”.
Lei produce in Cina le scarpe che pensa a Montegranaro, ha avuto problemi?
“Con il fatto che abbiamo sempre vissuto la Cina come seconda casa, visto anche il mio legame familiare, e quindi non come l’industriale che chiedeva e basta, siamo stati agevolati. Abbiamo una società su Hong Kong e un ufficio operativo in Cina. Questo mi ha permesso dopo tre anni e mezzo di essere ancora pienamente efficiente. La lealtà verso i fornitori paga, ancora di più in Oriente. I nostri partner ci hanno supportato al massimo, tanto che Fessura non ha saltato una consegna o ritardi particolari”.
I costi sono lievitati durante gli ultimi tre anni?
“Quelli di spedizione sono cresciuti in maniera esponenziale. E questo a causa dei vettori che hanno applicato rincari del 500%. Noi li abbiamo gestiti cercando di non impattare sul cliente finale, abbiamo tagliato i margini per restare competitivi e confermando gli ordini non abbiamo avuto problemi coni clienti. Aspettando l’evoluzione, abbiamo resistito”.
E oggi?
“I prezzi sono accettabili, oggi una scarpa via mare la importi con due dollari, fino a un anno fa ne servivano dieci e in aereo 50. Costi solo di trasporto”.
La produzione non è stata intaccata?
“Noi produciamo nelle Marche della Cina, Dongguan nella regione del Canton. È la zona di qualità. Quel polo sta evolvendo, come accade nella nostra regione. La manodopera è sempre più costosa e sempre in numero inferiore. Quello che soffriamo noi, lo vive anche la Cina. Essendo un Paese in continua crescita, i giovani studiano, si spostano e magari puntano a lavori differenti dalla manovia. La gente dal centro della Cina si muove meno, cominciando a trovare luoghi di lavoro nella loro terra. Stanno scomparendo anche i dormitori legati alle grandi fabbriche”.
Cosa si aspetta tornando?
“Luoghi ancora più evoluti. Il che significherà magari dover rivedere le strategie di posizionamento. Forse dovremo cercare nuove aree di produzione, senza mai perdere il fine: una sneakers tecnica ma fashion. Come la prima volta andammo via dall’Italia per trovare tecnologia e un prodotto che potesse rispondere al target consumer, ora stiamo facendo test tecnici che ci spingono a diventare ancora più competitivi. Ma sempre restando in Cina, dove ci sono distretti idonei”.
Più tecnologia, la manodopera sta al passo?
“In Cina ce ne è di formata e con competenza elevata. Come quella che ci permette di proseguire il progetto Fessura Lab che tramite un’App permette di studiare la nostra postura e movimento. Avere partner così abili ci consente cose che in Italia sarebbero complicate e fuori mercato”.
In Italia è nato il ministero per il Made in Italy, ci pensa qualche volta al fatto di non poter usare il ricercato marchio?
“Il reshoring va bene per le grandi griffe che avevano delocalizzato. Anzi, creerà ancora più problemi alle aziende piccole. Il ritorno dei colossi, che possono tenere prezzi made in Italy vendendo scarpe a 800 euro, con grandi marginalità, priverà ancora di più dei dipendenti chiave le Pmi. A meno che non iniziano a lavorare per loro. Volendo io rendere il mio sempre più brand, con sneakers di prestigio a un prezzo accessibile, non posso pensare di produrre qui”.
Quanto tempo ci vuole oggi tra la richiesta di ordine e il ritorno di una scarpa Fessura in Italia?
“Tra ordine e consegna, quattro mesi via nave. Tempi molto rapidi, permettono di programmare, e certi. Il Dhl consegna in due giorni dall’Asia, se mi serve un prototipo”.
Parlando di Fessura, come va il suo mercato?
“In Oriente abbiamo investito: in Corea e Cina abbiamo due piattaforme, ma son mercati sempre più complessi. Per noi il fatturato viene il 40% dall’Italia, il 10% dall’Europa, 20% da Cina e Oriente e 20% dal Middle East. Buone risposte le abbiamo da bene in Israele, abbiamo debuttato in Cile”.
Siete pronti per crescere?
“L’obiettivo è diventare un brand globale. E questo sapendo di avere una supply chain che ci permetterebbe di passare da 50mila a 500mila paia senza stravolgimenti. Il tutto partendo dalla nostra tecnologia Reflex System che, sperimentata e testata, ricarica la persona passo dopo passo anche grazie allo choc absorbing che ci sta facendo investire sul mondo del running. Ma questa è un’altra storia e ne parleremo al Pitti Uomo di giugno”.
@raffaelevitali