Da Porto Sant'Elpidio all'America: "Un piccolo supermarket mi ha proiettato nel mondo del food, un altro ricordo indelebile: fare colazione con le merendine più strane, patatine, uova, pancake e salsicce, budini".
di Raffaele VItali
PORTO SANT’ELPIDIO – “Mi chiamo Marta, ho 15 anni e ho girato il mondo coi calzoni corti e il fazzolettone al collo”. Se cercate la gioia e il desiderio di vivere con gli altri, avete trovato la storia giusta. Lei è Marta Paniconi da Porto Sant’Elpidio, studentessa al liceo Scientifico e scout per scelta. Una scelta così forte che l’ha fatta salire su u aereo per raggiungere il West Virginia.
“Il 21 luglio sono partita insieme ad altri 1200 ragazzi scout italiani per il West Virginia, per partecipare all’evento scout più grande ed emozionante del mondo, il 24esimo World Scout Jamboree. Con me 45000 scout provenienti da tutto il mondo”.
Partiamo dall’inizio, la location.
“La Betchel Reserve è una riserva naturale enorme, piena di spianate verdi, tappezzate da migliaia di tende colorate, che la dipingono di rosso, blu, verde o grigio”.
Ma perché proprio Marta Paniconi è partita?
“Incredibile. Ancora ricordo l’emozione quando mi hanno detto che sarei stata l’ambasciatrice del mio reparto, l’Aldebaran di Porto Sant’Elpidio 1. Sarei partita insieme ad altri 35 scout marchigiani, provenienti dal reparto Ponte di Fermignano. L’America mi aspettava”.
Come si prepara lo zaino per un viaggio così lungo?
“Intanto col sorriso, stavo per realizzare il sogno di ogni ragazzo scout. Ci sono volute due settimane di preparativi: lo vedo ancora vicino alla porta quello zaino più grande di me, che a fatica riesco a trascinare, con le zip che sembrano esplodere. Emozione, ma anche timore, era la prima volta che partivo senza la mia famiglia”.
Finalmente il 21 luglio, si parte e si atterra. Quale è stato il primo impatto?
“Dopo più di un giorno di viaggio, tra musica, film, nuove compagnie e tante aspettative. Eravamo stanchi, ci aspettava il campo tenda da montare. Ma il primo regalo è arrivato dagli amici americani, il sottocampo lo avevano già preparto loro per noi. Quindi, montate le tende in pochi minuti ecco l prima notte americana. Poi, al mattino, la meraviglia: le luci, i colori, i volti, il pensiero che 50000 persone si trovano lì per lo stesso motivo, spinte dagli stessi ideali e pronte a vivere la stessa incredibile esperienza mi riempie il cuore di gioia”.
Ma davvero scout da tutto il mondo?
“Sono troppe le persone e le culture che mi incuriosiscono e vorrei conoscerle tutte. Durante il tragitto per arrivare all’arena, dove si terranno gli spettacoli, rimango incantata dagli sguardi e dai sorrisi di tutti i ragazzi che incrocio camminando, ognuno sempre pronto a scambiare qualche parola o battere un cinque. Per giorni i vicini di tenda erano del Marocco, dell’Argentina e delle Isole Faroe a pochi metri e l’Irlanda del Nord è proprio dietro l’angolo”.
Mangiato bene?
“Diciamo che di italiano c’era poco. Un piccolo supermarket mi ha proiettato nel mondo del food, un altro ricordo indelebile: fare colazione con le merendine più strane, patatine, uova, pancake e salsicce, budini. Da buoni italiani eravamo i cuochi più bravi del nostro sottocampo, in particolare il caffè ha attirato i nostri vicini”.
Cibo come legame?
“A volte non sapevo neanche da dove venisse il ragazzo o la ragazza che stavo abbracciando, sapevo solo che stare lì a chiacchierare mi rendeva felice e ci sarei rimasta per ore, come se ci conoscessimo da una vita”.
Ma durante il girono cosa facevate?
“Di tutto, anche incredibili escursioni come quella del Mount Jack dove ho superato le mie paure, le vertigini. Mi sono arrampicata su una parete di roccia, ho fatto immersione, ho pescato, ho remato in piedi su una tavola da surf per poi tuffarmi nell’acqua fresca del lago, ho persino attraversato l’arena “volando” con la zip line”.
Poi, però, tutto finisce.
“Dodici giorni perfetti chiusi in maniera incredibile cantando a squarcia gola fino a finire la voce, mentre le lacrime di malinconia mista a felicità scendevano incessanti sulle nostre guance. Lasciavo quel campo per non farvi più ritorno, lasciavo le persone conosciute, che forse non avrei più rivisto, lasciavo i cibi più strani e i paesaggi più belli, ma tornavo a casa dopo aver vissuto un’esperienza unica, che ha cambiato il mio modo di vivere e di pensare, che mi ha aiutata a crescere, a conoscere, ad essere curiosa e a meravigliarmi delle piccole cose”.
Si chiama Marta, ha 15 anni e quest’estate insieme ad altri 45000 ragazzi ha vissuto un mondo senza barriere fatto di integrazione. Buona strada.