FERMO - Papa Francesco per loro era davvero speciale: sono i detenuti del carcere di Fermo e tra di loro c’è anche un argentino: “Ricordo bene il Papa quando era vescovo, ha fatto tanto per le zone più povere dell’Argentina”.
Aggiunge un altro detenuto: “Era una persona semplice, è stato bravo”. L’occasione per parlare del pontefice appena scomparso l’ha offerta il prefetto di Fermo Edoardo D’Alascio.
È sua l‘idea di portare il registro del cordoglio, che è stato istituito in tutte le prefetture d’Italia, dentro il carcere di Fermo. “Chi è qui non può uscire, non può venire in prefettura e scrivere. Per questo ho pensato, in piena sintonia con la direttrice Stoico, di lasciare il libro qui per alcune ore in modo che chi vuole può raccontare quello che il Papa è stato per sé. Una idea semplice, ma che segue l’esempio del pontefice che aveva sempre un pensiero per chi si trovava in una struttura detentiva”.
È rimasto piacevolmente sorpreso monsignor Armando Trasarti, vescovo emerito e cappellano del carcere. È lui che ogni giorno prova a portare un massaggio di speranza, parola cara a Papa Francesco, tra i detenuti.
“Si dice che il carcere deve essere un luogo di rinascita, ma non è facile. Per riabilitarsi, dopo aver scontato la pena, servono tante cose: per una casa serve il lavoro, per il lavoro servono la patente e un’auto, mica è facile farsi una vita fuori dal carcere” aggiunge un altro detenuto parlando con il prefetto e la direttrice prima di firmare il libro del cordoglio.
Chissà che dall’alto il papa, che parlava agli ultimi ed entrava in carcere per benedire ma soprattutto confortare chi è privato, “al momento” come ribadisce il prefetto, della sua libertà, non faccia un miracolo.
“Per noi è un giorno importante, una iniziativa nata con una semplice telefonata con il Prefetto. Il Papa quando entrava in un carcere e poi usciva diceva sempre ‘perché io e non loro?’. Per il detenuto è un momento per sentirsi ancora di più parte della società, dove poi rientrerà” conclude Serena Storico.
r.vit.