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Terrorismo a Londra: l'Isis dietro la mano di Usman Khan

1 Dicembre 2019

LONDRA – “Era un nostro combattente”. Puntuale è arrivata la rivendicazione dell’Isis per l’atto terroristico al London Bridge. L’uomo, Usman Khan è un simpatizzante di Al Qaeda, condannato per terrorismo e scarcerato in anticipo, pronto ad approfittare di una conferenza sulla riabilitazione dei detenuti per scatenare la sua furia e il suo odio.

È questo il dettaglio che fa male al sistema inglese: si preparava alla riabilitazione mentre pianificava l’attentato che ha portato alla morte di due persone e a tre feriti gravi. Tutto con un coltello e un finto giubbotto esplosivo. Ha colpito a caso dei semplici passanti. Una delle sue vittime, Jack Merritt, laureato a Cambridge, era proprio il coordinatore del programma di reinserimento legato all'istituto di criminologia dell’Università (ancora non si conosce, invece, l’identità dell'altra vittima, né delle tre persone ferite). Ma Khan ha scelto male il suo obiettivo: in quel momento nella Fishmongers' Hall (un posto iconico nella cultura imprenditoriale londinese, perché' dal 1300 vi si ritrovava la comunità di pescatori) c'erano non solo studiosi, ma anche (e soprattutto) gente con un passato criminale. Khan si è presentato con due coltelli da cucina assicurati con il nastro adesivo alle mani e ha cominciato a colpire a caso. Ma invece di affrontare cittadini inermi, si è trovato circondato da gente che non ha esitato a reagire. Tra questi un ergastolano: James Ford, condannato per aver ucciso una ragazza disabile. E poi un altro “eroe” del ponte di Londra è uno chef polacco che ha preso uno dei cimeli marinareschi esposti nella sala, una zanna di narvalo lunga quasi due metri, e si è lanciato all'inseguimento dell'aggressore. Poi Khan è fuggito lungo il ponte di Londra, dove in tre lo hanno raggiunto: un uomo con un estintore gli ha spruzzato contro la schiuma e lo chef polacco che gli ha puntato contro la zanna. Quando sono arrivati i poliziotti, scesi da un'auto civetta, Khan era giù a terra, sopraffatto, ma gli agenti, vedendo il giubbotto esplosivo, hanno deciso di fare fuoco.

“Certezza della pena” ha sempre dichiarato il premier conservatore Boris Johnson a meno di due settimane dalle elezioni britanniche, che si terranno il 12 dicembre. E invece, il quadro che emerge ne mette in dubbio la credibilità.

Khan, figlio di genitori pachistani cresciuto in Inghilterra, avrebbe agito “da solo”, almeno secondo Scotland Yard. È partito dalla Fishmongers' Hall, la sala all'imbocco del ponte in cui era stato ammesso come altri ex detenuti, con accademici e studenti a un incontro organizzato dall'università di Cambridge nell'ambito d'un programma di reinserimento, poi è uscito in strada dove a colpi di estintore hanno cercato di fermarlo prima dei colpi della Polizia.

Khan non era uno sconosciuto. La sua storia di jihadista in erba risale almeno al 2008, quando compare 18enne per la prima volta nei radar della polizia fra gli adepti di moschee come quella dominata dall'incendiario predicatore Anjem Choudary. E culmina nell'arresto nel 2012, con tanto di condanna per aver progettato con altri otto un attentato contro la Borsa di Londra. Non solo, è stato anche accusato di aver pianificato la creazione di un campo di addestramento ispirato ad Al Qaeda su un terreno del Kashmir pachistano di proprietà della sua famiglia.

Per questo è stato condannato a 16 anni di reclusione. Ma a dicembre ha ottenuto la libertà vigilata con uso del braccialetto, rivelatosi inutile. Secondo il suo avvocato, aveva anche chiesto aiuto per essere deradicalizzato Il primo ministro Johnson ha puntato dritto sul sistema giudiziario e sui benefici che garantisce grazie a “leggi laburiste”. La sola voce che riecheggia a limitare lo spazio mediatico del premier resta quello di un messaggio della 93enne regina Elisabetta: che con il consorte Filippo si dice “rattristata dalla terribile violenza” e prova ad alzare lo sguardo, evocando “preghiere» per le vittime (foto timesofisraele.it).

r.vit.

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