Il 24 agosto 2016, alle 3:36, una scossa di magnitudo 6.0 causò 299 morti e 388 feriti, distruggendo centri abitati e frazioni nei comuni di Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto.
Si può raccontare in diversi modi il terremoto, dipende tutto dal lato in cui lo si guarda e dalla base da cui si parte.
Il problema principale, che resta, è lo spopolamento dei luoghi. Piccoli borghi che bisogna finire di definire isolati. Perché prima del sisma Arquata era una cittadina dinamica con la sua identità, Amatrice era un perno del centro Italia, luoghi come Ussita, Visso o Falerone delle piccole perle tra la natura e l’economia. Il paesino fermano ha aziende gioiello al suo interno, ma anche un centro storico che oggi è l’emblema del ‘vorrei ma ancora non posso’.
Il vescovo di Rieti Pompili, uno che è stato in prima linea nella ricostruzione e che tra un mese verrà traferito, aprendo così un altro vuoto, lo ha detto in maniera chiara: “Tutti devono venire a vedere, pubblico e privato, Stato e società civile, operatori economici ed ordini professionali. Senza il coinvolgimento di tutti l'attesa potrebbe allungarsi ancora. E chi verrà, vedrà anche quel che va immaginato”.
Il punto è questo, venire e vedere e poi riuscire a guardare. Ma bisogna raccontare la verità. Le ordinanze del commissario Legnini aiutano, i soldi sembrano esserci, ma la ricostruzione è un bradipo zoppo. Ma come sempre, si può raccontare tutto e il suo contrario.
Se le telecamere si accendono nella piazza di Balzo a Montegallo, l’ex Svizzera dei Sibillini, possono mostrare tre cantieri. Ma se le stesse telecamere vanno in una delle numerose frazioni, che erano poi la parte viva del comune sotto il Vettore, troveranno silenzio e desolazione. Questo va detto. Come è desolante vedere la piscina di Montegallo abbandonata a sé.
Ecco, ci sono responsabilità oggettive, come la difficoltà di trovare imprese e tecnici, e responsabilità fisiche, come l’inutilizzo di strutture turistiche facilmente apribili visto che se c’è una cosa che non mancano ai comuni terremotati sono i soldi.
Chi viveva nel cratere, vuole tornarci. Fosse anche per i mesi estivi, fosse per un Natale diverso. Ma lo Stato sta negando questo desiderio. Tutto troppo lento. E le persone intanto muoiono. Palmira, novantenne montegallese, se ne è andata nel piccolo letto della casetta, la famosa Sae. Sognava la sua casa, ma sei anni dopo ha detto basta. E come lei tante altre, nonostante le nipoti vogliano resistere e cerchino di non perdere il legame con le origini familiari.
Ecco, se anni dopo, al suono delle campane di Pescara del Tronto, i brividi tornano a tutti. Emotivamente siamo parte del cratere, ma poi a settembre già lo si dimentica. Venite a vedere, dice Pompili, ma soprattutto portate vita. L’appello è ogni anno lo stesso: serve il lavoro.
Ma se dopo Della Valle e la sua fabbrica nessun big si è mosso, di che parliamo? Troppe parole piene di amore e coscienze piene di vergogna, anzi indifferenza che è molto peggio.
Raffaele Vitali (direttore www.laprovinciadifermo.com)