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Tecnologia, l'impatto degli schermi sulla crescita dei ragazzi: "Identità digitale e reale, cresce il disagio: no al cellulare a scuola"

27 Agosto 2024

di Raffaele Vitali

FERMO – I dispositivi smart permeano le nostre vite, i social sono parte di noi, molti dei contenuti sono mediati dall’intelligenza artificiale. Tre elementi di riflessione senza mai dimenticare che il digitale è il contenitore, mentre l’Ai modera e seleziona il contenuto. “Quindi due piani, dispositivo e algoritmo, che dobbiamo conoscere”. È questa l’introduzione di Fabio Mercorio, docente alla Bicocca, che apre l’incontro con Luca Botturi, professore a Locarno di competenze digitali, Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, e Meryanne Wolff, neuro scienziata. Professore che con il collega fermano Emanuele Frontoni di questi temi parla spesso.

Cosa accade nei giovani che interagiscono tanto e presto, intesa come età, con uno schermo? “La sfida della tecnologia in età evolutiva è enorme e riguarda in particolar modo la comunità educante. Non ci poniamo la domanda su quando far entrare la tecnologia nelle mani di un bambino, ma non diamo le chiavi di un’auto a un 12enne, aspettiamo i 18 anni che sono il tempo della maturità cognitiva, che richiede la dimensione della sicurezza, la visione d’insieme, il saper fare più cose in contemporanea” sottolinea in maniera provocatoria.

“Abbiamo preso bambini di 8 anni e gli abbiamo messo in mano strumenti di complessità e gli abbiamo dato libero accesso. In molte scuole avere in mano uno smartphone è un prerequisito per attività didattiche, ma è come se avessimo preso un bambino spostandolo dal go-kart a un’autostrada a 4 corsie, sperando che il tir che passa si preoccupi di proteggere il piccolo. Dal tecno-entusiasmo alla riflessione, la ricerca ci sta dicendo che digitalizzare precocemente i bambini ha effetti collaterali oltre che aspetti positivi”.

Nel dettaglio entra Pellai, intervenendo al Meeting di Rimini. “A livello di salute mentale, dal 2012 tutti gli indicatori sono andati peggiorando nell’età evolutiva, dopo 30 anni di stabilità. Torna a crescere il disagio. La curva cresce, c’è uno sviluppo di identità digitale, che spesso non si integra con quella reale. I social accelerano tutto, in particolare Instagram che con le stories crea una connessione continua e stima curiosità sulla vita di persone che non vedremo mai. E così i guru della crescita diventano gli influencer”.

Tutto questo ha quattro ricadute sulla salute dei figli: deprivazione di sonno, “lo dimostra ogni ricerca che i figli dormono da una a due ore al giorno dei coetanei  di 30 anni fa, e dormire bene migliora l’apprendimento”; deprivazione sociale, abbiamo “adolescenti che come desiderio vogliono rimanere nella propria stanza. Oggi la punizione è ti stacco il wi-fi”; frammentazione dell’attenzione con conseguenze sul potenziale; addiction, “ovvero il fatto che alle due e tre di notte tendono a rimanere svegli e connessi per giocare. E questo a 9-11 anni”.

Il sunto, per Pellai è uno: “Tecnologia come strumento ben venga, come ambiente di vita e di crescita no”. Anche perché, come ricorda nel suo intervento Maryanne Wolf, è fondamentale sviluppare l’attenzione: “Più i bambini  sono esposti ai dispositivi digitali, minore è il rendimento scolastico. Sembra esserci relazione negativa tra la quantità di esposizione a schermi e l’apprendimento. In base alla diagnostica per immagini cerebrale, scopriamo che le aree dell’attenzione, situazione nel lobo fontale, sono meno sviluppate e connesse del normale. Abbiamo sia gli indici di sviluppo cerebrale sia i risultati scolastici che ci pongono dinanzi a un avvertimento: senza interazione umana, come un genitore che legge le storie ad alta voce, il rischio di sviluppare meno le regioni linguistiche del cervello è reale”.

Su questo anche Botturi non ha dubbi: “Quando qualcuno parla con noi, miglioriamo l’apprendimento”. E c’è un altro tema che non va sottovalutato: “Il mondo digitale non è solo lo smartphone. Nessuno nasce pre programmato per la sua era tecnologica (non esiste il nativo digitale). Questo perché non è solo il saper usare la tecnologia, serve la distanza critica. La competenza digitale non è solo un saper usare, ma cogliere i criteri di utilizzo dell’oggetto di per se ignoto”.

L’ignoto va conosciuto, passo passo: “Come specialista – ricorda Pellai – ricordo che la nostra mente deve essere nutrita con stimoli, esperienze e relazioni adeguate all’abilità della mente. Nessuno farebbe leggere i promessi sposi in prima elementare o l’antologia di Peppa Pig a un 16enne. Quindi dobbiamo stimolare la capacità di lettura, ma servono stimoli adeguati all’età. La fase tra 9-14 anni è una di enorme fragilità e vulnerabilità verso l’ingaggio della vita online, che crea circuiti affamati di gratificazione istantanea. Il dilemma di Pinocchio è continuo: seguire i consigli di Geppetto e andare a scuola o cedere a Lucignolo e al suo paese dei balocchi? Pinocchio non ha abilità e competenza per dire vado a scuola, quindi in un micro secondo cambia progetto di giornata e di crescita".

Così oggi, con il 12enne che vuole fare bene i compiti di matematica e di fianco ha lo smartphone con l’app di calcolo. "Dal suo punto di vista la sta usando per fare una cosa importante, per la sua formazione. Ma l’app, però, è in uno strumento che gli manda altre informazioni e gli dice ‘qui c’è il tuo paese dei balocchi’. Il 12enne dovrebbe dirgli ‘non mi interessa, meglio fare i compiti’. Quanti fanno questo? I ragazzi finiscono per usare uno strumento per fini buoni, ma che li indirizza verso percorsi divertenti e meno formanti”.

Da qui, la conclusione: evitare che a scuola, almeno, vengano usati gli smartphone. Nelle nuove linee guida, se ne discute. “Cinque nazioni come Norvegia, Finlandia, Svezia, gran Bretagna e Francia tolgono il cellulare, eppure sono i più digitalizzati. Ma loro seguono le ricerche che dicono che a scuola senza cellulare si rende di più. tutti dovremmo utilizzare i dati nel mondo migliore, l’adulto deve essere il garante del percorso di apprendimento del giovane che ha bisogno di strumenti e non di ambienti digitali” conclude Pellai.

Nessuno vuole mettere al bando l’informatica, “ma – riprende Mercorio - dobbiamo riscopre come usiamo i criteri dell’agire, il modo in ci usiamo le cose; la tecnologia non può essere il fungo che cresce e riempie ogni spazio, dobbiamo trovare la sintonia per far vivere reale e  virtuale”.

Partendo dalla conclusione di Wolf: “riscopriamo la lettura sulla carta. Deduzione, pensiero critico, confronto sono parte della cosiddetta lettura profonda che richiede tempo. Il cellulare induce il bambino a leggere in modo superficiale, scorrendo velocemente il testo, rimanendo sulla superficie di ciò che legge. In questo modo non diamo al cervello il tempo necessario per attivare processi linguistici, cognitivi e affettivi molto sofisticati. La sfida riguarda tutti, solo se gli adulti, la comunità educante, agirà potremo dare ai nostri figli la capacità di lettura profonda. Non parlo di scelta tra carta e tecnologia, ma di evoluzione formativa, di un dato certo: la carta nei primi dieci anni di vita permette processi sviluppo della lettura maggiori e allontana la polarizzazione dei contenuti che il mondo virtuale tende a favorire”.

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