Un solo messaggio che riassume il cambio di logica, il superamento del nostro egoismo in nome del bene collettivo.
Il problema vero è la nostra incapacità all’ascolto, al rispetto delle indicazioni. Siamo incapaci di autolimitarci, forti del nostro essere ‘più forti’. Per giorni l’Italia, anche nelle zone più colpite, ha vissuto nella logica del ‘possiamo uscirne tranquillamente’. Senza però aggiungere che per riuscirci l’unica arma che abbiamo a disposizione è la riduzione del movimento, la riduzione del contatto umano, il limitare il passaggio del virus, che vive nelle persone.
I virus sono infingardi, non mirano a uccidere, ma a sopravvivere usando i corpi come loro tana sicura. Per cui, se si rispettano determinate prassi, il passaggio del Coronavirus sarà veicolato e controllato come quello degli altri in passato, almeno fino a quando non arriverà il vaccino per abbatterlo.
Per questo l’unico accorgimento che prossimo adottare è quello dello stare a casa il più possibile. Ecco l’hashtag che deve diventare virale: #stateacasa. Non altri, non il #nopanico varato con troppa leggerezza qualche giorno fa. Di certo non il #milanononsiferma e affini.
Cosa ci serve per capire che bisogna rinunciare a un po’ del proprio benessere, inteso come normale attività, per qualcosa di collettivo? Siamo egoisti, lo siamo da sempre, perché abbiamo sempre saputo che c’era qualcuno che pensava per noi e risolveva i problemi: il Governo, il sistema sanitario, il datore di lavoro, il preside. Oggi non è così, oggi il comportamento del singolo è il comportamento di tutti. Quindi #stateacasa deve essere il messaggio. Per quanto? Questo non spetta a noi che abbiamo il solo compito di ubbidire anche a chi non è in grado di fermare il calcio, finendo per lasciare nelle persone l’inaccettabile dubbio che si stia esagerando.