FERMO – Ci sono più modi per parlare di sostenibilità. Ma un dato ormai è evidente: non la si raggiunge da soli. Tipicità ha offerto anche questa occasione di riflessione.
Tutti seduti sui cartoni trasformati che diventano sedie, pouf, cassapanche, ma anche tavoli. Il merito è di Stefania Di Battista che ha saputo far evolvere e innovare l’azienda di famiglia. “Il cartone può essere il pezzo base del packaging, ma anche un complemento di arredo e questo parlando di sostenibilità non è un dettaglio”.
Cosa ha fatto la Di Battista di speciale? Ha creato una sinergia tra più figure, da altri imprenditori, che da potenziali competitor sono diventati partner di nuovi prodotti, a ricercatori ed esperti che uniscono centri di competenza e università all’azienda. “Un esempio, la nuova vaschetta che unisce il cartone Di Battista al film polimerico per il packaging creato recuperando gli scarti di origine ittica, principalmente salmone”.
Un unicum che è pronto a prendersi il mercato, unendo così sostenibilità e business: “La pelle del pesce, una volta lavorata, crea la ‘plastica’ con prestazioni simili a quelle normali. La sfida è stare nella stessa performance anche a livello di saldabilità. In questo modo – spiegano i partner della Di Battista, tra cui una start up sarda – non sarà solo un prodotto di nicchia, di alta qualità”.
La collaborazione cartone – bioplastica crea un rifiuto unico che può essere buttato nella carta, visto che il drop film non solubile in acqua. Si riducono anche così le microplastiche. “Quello che deve essere chiaro – ribadiscono partner di Di Battista – è che il mondo dell’imballaggio sta cercando di semplificare i materiali utilizzati per superare l’abuso della plastica. Sapendo che il problema non è la plastica in sé, ma l’abuso che se ne è fatto. Motivo per cui esperienze di eco progettazione sono sempre più importanti”.
Quello che ha colpito dell’incontro o organizzato è che Stefania di Battista avrebbe potuto tranquillamente continuare al sua strada senza intralci, ma ha scelto di guardare oltre quello che fa e bene. Ha fatto di Tipicità, un luogo di rete, un modello da replicare e rendere operativo a livello aziendale. Seguendo anche quella carta etica del packaging, che tra i dieci punti essenziali non può fare a meno di sicurezza per il contenuti, accessibilità alle categorie protette, “dalla bottiglia avvitabile a quella protetta per i bambini”, equilibrio nell’uso dei materiali per evitare imballaggi eccessivi e inutili.
Quello che l’imprenditrice ha creato si potrebbe definire una comunità imprenditoriale. Azione che va di pari passo con un’altra sfida analizzata dentro i padiglioni di Tipicità quella delle comunità energetiche.
“Produrre energia da fonti rinnovabili in modo condiviso con vantaggi peer il territorio. Questa è la comunità energetica che è stata rilanciata dal nuovo decreto governativo è cambiato il limite di potenza che da 200 kWh arriva a un megawatt” spiegano gli esperti che il presidente del consiglio regionale delle Marche, Dino Latini, ha voluto al tavolo. Perché la Regione ci crede, come dimostrano i 6 milioni di euro stanziati, inizialmente, per favorire la formazione delle comunità.
“Che - ribadiscono – riguardano tutti, dall’ente pubblico al privato cittadino, chiunque può farne parte. L’aspetto più complicato è tradurre da un punto di vista formale la comunità che ha delle indicazioni minime, mentre quella tecnica si sviluppa attraverso uno studio dei potenziali partecipanti per verificare il miglior assetto”.
Che tutti possano farne parte lo spiega il dirigente della regione con un esempio: “Comuni e provincia che hanno tetti da coprire con il fotovoltaico possono decidere di fare autoconsumo e di cedere in uso alla comunità energetica il surplus. “Una sfida, si passa da un sistema uno-molti, dal singolo soggetto ai tanti utenti, al sistema molti-molti. Consumo e produzione di energia elettrica diventano fattori comuni”.
Insieme si può, ancora di più se il proprio business diventa parte dell'altro e si condivide insieme la crescita.