FERMO – Hanno atteso prima di parlare. Hanno studiato le carte, hanno valutato i pro e contro, perché quando rappresenti un sistema completamente differente che unisce imprese da cinque dipendenti ad altre con duemila, non è possibile avere una linea unica. Ma il decreto #curaitalia non piace al mondo di Confindustria Marche, ancora meno a quello di Fermo e Ascoli.
“Un primo decreto necessario e importante, ma che delude profondamente le nostre imprese, ci saremmo aspettati più coraggio e risorse decisamente maggiori per le aziende, che in questo momento rischiano l’estinzione. Dell’economia ci si deve occupare ora ed in modo adeguato, altrimenti non avremo alcun futuro” ribadisce il presidente di Confindustria Marche Claudio Schiavoni.
Il carico lo aggiungono subito Giampietro Melchiorri e Simone Mariani, numero 2 e numero 1 del sud delle Marche: “Pensando al futuro, è necessario che si ragioni in maniera diversa a livello di credito, in particolare quando si parla di manifattura. Ci sono altri paesi europei, a cominciare dalla Germania, che hanno già adottato politiche economiche mirate a sostenere realmente la filiera. Siamo tutti d’accordo che vada aperto il credito alle imprese, ma bisogna garantire i soldi all’ultimo anello della catena. Che per il mondo della moda, ma vale anche per il mobile e altri settori chiave della regione, è il negoziante. Garantirgli risorse con l’obbligo di pagare i suoi debiti, o meglio gli ordini e la merce che una volta prodotta gli è stata consegnata nei primi mesi del 2020 (STESSA LINEA DI DELLA VALLE, leggi)”.
Tutelare il piccolo per aiutare il grande: “Questo garantirebbe all’azienda un incasso certo e le permetterebbe poi attraverso la cassa integrazione in deroga e il credito diretto di salvare i posti di lavoro e di continuare a comprare materie prime per far ripartire la produzione. Lo ribadiamo con forza, la prima necessità è fermare la valanga di insolvenze che le imprese si ritroveranno sul tavolo all’uscita dall’emergenza”.
Ci si sposta di pochi chilometri ed ecco Macerata, con il luminoso mondo del presidente Domenico Guzzini: “Questo decreto può essere solo il primo passo”. E non cambia l’approccio di Pesaro, dove insistono molte grandi imprese: “Constatiamo con grande amarezza che lo Stato non vede l’impresa come un bene comune e sociale che porta benessere diffuso per tutti. In questo periodo di pandemia, non abbiamo solo perso giornate di lavoro e calo di produttività ma anche clienti, ordini per il lavoro futuro, liquidità e competitività”.
IL Governo dovrà ascoltare il grido degli imprenditori, quelli che mandano avanti l’Italia anche nell’emergenza e che, come tanti artigiani, hanno paura per loro e per i dipendenti ma cercano di garantire ogni sistema di protezione: “Dobbiamo pensare prima di tutto a non far morire le persone e allo stesso tempo pensare anche al futuro, quando si troveranno davanti a delle macerie, come in guerra” conclude Schiavoni.
Raffaele Vitali