*Raffaele Vitali
La Giornata delle Marche ha avuto sicuramente un merito: far parlare di salute, di servizio sanitario pubblico, di potenzialità e problemi. Ma ha anche un rischio: quello di ovattare tutto dietro le luci eleganti del teatro dell’Aquila e delle tante telecamere.
“Quello che è incomprendibile è che un medico guarda un paziente, fa la diagnosi e decide la cura. Invece la politica ci impiega anni a realizzare quello che sa di dover fare”. Le parole di Anna Maria Calcagni, presidente Ordine dei medici di Fermo, sono la fotografia della realtà. Si preferisce dare lavoro a cooperative esterne, con costi enormi, piuttosto che agire sulle piante organiche del sistema sanitario e rimodulare gli stipendi.
La regione Marche a livello teorico vuole cambiare questo modo di agire. “Se non altro Acquaroli, dopo 14 anni che sono presidente dell’ordine, è il primo che mi ha ricevuto”. Non è un dettaglio, la capacità di ascolto la riconoscono tutti alla Giunta.
Ma poi serve altro, altrimenti il sindaco di Fermo Paolo Calcinaro finirà per pentirsi di aver promosso la riforma sanitaria. Perché se l’autonomia territoriale, con inclusione dei sindaci nei processi decisionali, non sarà seguita da una perequazione economica e di personale, Fermo e la sua sanità resteranno ancora più indietro.
Si parla sempre di emodinamica, ed è un macchinario che piace a tutti. Ma poi emodinamica è schiava dei numeri e al momento Fermo non ce li ha. Anche se la fotografia scattata dalla Politecnica ha dimostrato che proprio il settore cardiologico è quello che più provoca mobilità passiva dal Murri. Quella Politecnica che al Ministro e al Governatore ha mandato un messaggio chiaro: “Non pensate di risolvere i problemi sostituendo i medici in pensione con gli specializzandi. Possono dare una mano, il territorio può essere parte del percorso formativo, ma non sono medici esperti in grado di fare tutto”.
Ecco che dal main stream mediatico esce di scena uno dei punti cardine della strategia regionale. Così come viene meno lo ‘spot’ del togliere il numero chiuso. “I medici vanno formati. E questo viene garantito da numeri sotto controllo” è la chiosa tranchant del preside di Medicina Silvestrini. Tra l’altro Infermieristica non attira più come prima, e qui il numero chiuso è stato aumentato, nonostante garantisca lavoro al 100%. Il motivo? Troppo lavoro, tanti rischi e stipendi non così attraenti.
Insomma, tante parole e idee, ma poi c’è la concretezza che si chiama carenza di personale e burocrazia. Su questo la politica può agire, eccome, togliendo al privato la possibilità di trasformare il piccolo vantaggio dato dall’assenza di vincoli in un baratro tra sistema sanitario nazionale e sanità per chi può permettersela.
*direttore www.laprovinciadifermo.com