di Raffaele Vitali
FERMO – Marino Fabiani è da decenni uno dei volti di punta del distretto calzaturiero fermano. Tra i pionieri del mercato russo, nell’est Europa ha costruito la sua fortuna, diventando un piccolo brand. Ed è anche uno dei pochi imprenditori che non perde mai il sorriso, anche mentre la Russia continua a zoppicare. E per lui, che ne ha vissuto i fasti, tutto è più complicato.
Fabiano, il Micam del ‘rinascimento’ si è chiuso con migliaia di visitatori. I russi?
“Ne sono venuti pochi da Mosca. Purtroppo è stato complicato concedere i visti. Molti di loro non sono vaccinati, perché non credono nello Sputnik. E quindi, qualcuno lo abbiamo invitato e così ha ottenuto un pass per cinque giorni. Inutile negare che sapendo di avere tra un mese a disposizione l’Obuv, hanno preferito attendere il nostro arrivo a Mosca”.
Ma il mercato russo come sta?
“I russi hanno venduto meno, il freddo è arrivato e adesso questo permette di svuotare i magazzini dal vecchio invernale. Anzi. Gli mancano i pezzi e questo ci permetterebbe a noi di riassortire le collezioni. Solo che il problema è nei tempi: anche spedendole subito, non arrivano prima di 40 giorni, si fermano in dogana a lungo. Prima delle sanzioni, a Mosca e San Pietroburgo si arrivava in un giorno, oggi almeno dieci e poi i tempi di sdoganamento. E questo per noi italiani, perché ai tedeschi è garantito un accesso privilegiato”.
La sua azienda come arriva al post pandemia?
“Dopo aver toccato il fondo, con tre stagioni pessime e l’assenza di fiere, ora ci siamo. Per noi purtroppo l’online è un limite. Perché i russi, e in generale i nostri clienti, chiedono scarpe anche con piccole modifiche. E quelle non si possono fare online. Che è perfetto per chi fa ordini grandi. Quando si è un marchio di nicchia, il contatto fisico è fondamentale. E per questo abbiamo davvero sofferto tanto”.
La fiera in questo vi ha aiutato?
“Nei giorni del Micam, i clienti sono tornati a chiedere scarpe belle e ben fatte. Vogliono il made in Italy”.
È cambiato il gusto dei russi?
“Vogliono scarpe fini, poco appariscenti: quelle che vanno bene alla 28enne e alla mamma. Un tacco basso ed elegante, tra i due e i cinque centimetri sono quelli che si vendono più facilmente. Siamo arrivati a fare anche scarpe con all’interno il memory, perché la comodità sta diventando un fattore chiave”.
Settembre 2020 vi aveva illusi, oggi?
“Il disastro di ottobre 2020 è stato devastante. Oggi siamo molto più speranzosi. Il fatto che al Micam siano arrivati buyer da tutto il mondo, dimostra che il mercato non si è fermato. il cliente ha voglia di fare, è carico. Si sono rivisti gli acconti, significa che c’è di fiducia”.
Lei come li conquista dopo tanti anni?
“Chi ci sceglie vuole anche delle esclusive, dettagli. Ho ancora speranza perché sempre meno calzaturifici fanno questa scarpa sartoriale. Ho prodotto modelli per tante griffe, sono belle ma uguali. Le mie sono diverse, uniche”.
Fabiani, teme lo sblocco dei licenziamenti previsto a fine anno?
“IN azienda siamo in 25, se penso che nel 2013 eravamo 48… Pian piano siamo scesi, non con i licenziamenti ma con mancati rinnovi e pensionamenti. Più che lo sblocco licenziamenti, temo lo sblocco dei pagamenti alle banche. I prestiti vanno diluiti. Se comincio a incassare ad aprile 2022 ma devo pagare a dicembre che faccio?”.
Le sanzioni pensano?
“Sono un macigno. Ma non solo, si parla di aumentarle. Per noi sarebbe la fine, neppure con le navi riusciremmo più a consegnarle”.
Marino Fabiani, ma chi le dà la forza di continuare. Non ha pensato di smettere?
“Vedete, al mio fianco ci sono Tanya e Sara, la mia seconda generazione. Due figlie entrambe laureate, una esperta di marketing con laurea alla Politecnica, l’altra che segue la produzione. Voglio lasciarle un’azienda in salute, che possa darle le soddisfazioni che avevo io prima del 2013. Insieme stiamo lavorando anche per mercati alternativi, il sogno è l’America ma ancora è troppo legata al concetto di griffe”.