Resistere e credere. In cosa ognuno lo può scegliere. Chi in Dio, chi nel domani, chi nella scienza. Ma una cosa è certa: io credo nella normalità. O, come la definisce il grande direttore d’orchestra Ezio Bosso, nella natura. Che è fatta di vicinanza.
Sono tante le parole che ci accompagnano ogni giorno: Coronavirus, batterio, contagio, virus, quarantena, pandemia, resilienza, paura. Ognuno forse vede in una di queste la sua. Ma quella decisiva e da tenere a mente è vicinanza.
La frase ‘nulla sarà più come prima’ è esattamente quella che un esperto non dovrebbe mai ripetere. Perché io voglio che la vita torni come prima. Il punto non è illudere, è semplicemente una quesitone di tempo, di obiettivi.
È il tempo che ci farà tornare come prima, perché il vaccino risolverà il problema. Ma se noi al virus abbiniamo la miope visione del ‘tutto cambierà’, dell’idea che la nostra sarà una vita di smart working e di lezioni a distanza, allora sì che avremo perso questa sfida.
Non ci credo a un mondo con i teatri vuoti e di banchi senza libri. Non ci credo e non ci voglio credere. Il mondo non sarà come prima solo perché sarà migliore, perché in questi mesi avremo imparato a dialogare con noi stessi e con chi ci sta vicino, ma soprattutto perché avremo voglia di condividere davvero minuti e ore con qualcuno diverso da noi.
Se questo non è il vostro obiettivo, allora tacete, chiudetevi nella vostra tristezza. Altrimenti segnatevi le parole davvero da portare nel domani: regole, solidarietà e vicinanza. In una parola vita, che come insegna Papa Francesco, uno che unisce davvero tutti, risorge sempre.