di Raffaele Vitali
PESARO – “Scriviamo la politica con la P maiuscola”. Matteo Renzi e Matteo Ricci, stessa generazione, classe ‘74 il pesarese, del ‘75 è il toscano, entrambi sindaci, entrambi presidenti della Provincia, uno oggi senatore, l’altro europarlamentare. L’ex premier sale sul palco della festa del Pd delle Marche tra gli applausi e un ‘bentornato Matteo’ detto quattro volte mentre si muoveva tra la folla del centrosinistra. In realtà si aggira per la Festa dell’Unità pesarese per più di un’ora, mentre sul palco si parla di Province e della sua riforma monca “che dobbiamo rivedere per ridare risorse oltre che competenze ed elezioni a un ente fondamentale” riassume l’onorevole dem Irene Manzi, che nel 2014 votò il Ddl Del Rio, come tutti del resto.
Renzi torna dopo due anni come protagonista a una Festa dell’Unità. Mentre interviene, si alzano dei cartelli tra la folla: ‘Cessate il fuoco’. Sono le ‘Donne in cammino per la pace’ che ricordano a tuti il gemellaggio di Pesaro con Rafah in Palestina. E Renzi proprio da lì parte: “La situazione è molto complicata, questo è uno dei grandi temi. E lo dico in maniera chiara, se il nostro ministro degli Esteri si ricordasse di essere il presidente di turno del G7 e prendesse una iniziativa diplomatica, questo paese sarebbe un po’ più civile. Tajani è in campagna elettorale permanente”.
Renzi stronca tutto: “Non sono un figliol prodigo. Ma resto ammirato dalle volontarie e dai volontari delle feste. Oggi sono da un’altra parte, non cerco il plauso. Sono venuto via dal Pd, e ho parlato a lungo con Matteo Ricci, al termine di una lunga discussione. Ho scelto di andare via dal Pd un minuto dopo aver fatto nascere il governo Conte 2. Per me era una sofferenza, ma dovevamo mandare a casa Salvini. Non potevo però stare lì. Oggi sono qui non da figliol prodigo, manca il vitello grasso e Ricci è magro, ma perché penso che il centrosinistra debba ripartire. Per far cadere Giorgia Meloni, Salvini e Vannacci serve l’alternativa. E questa si costruisce anche con quelli diversi”.
Su Elly Schlein è netto: “Non siamo i best friend, ma ha vinto le primarie e merita di essere la segreteria del Pd. Io posso stare in una coalizione tra diversi ma se viene guidata da Travaglio e i grillini non mi vedrete. Oggi ve lo dico: valori, diritti, idea di futuro ci legano, poi siamo divisi sul job act. L’alternativa si può condurre solo con il Pd. Ma vi chiedo di non massacrare la vostra leadership. Non trattatela come Veltroni, Zingaretti e altri: non fate il fuoco amico sul segretario, c’è bisogno di una coalizione che parta dal Pd e si allarghi al centro”.
Si gira verso Ricci e lo esalta: “Se uno nelle Marche prende 52mila voti non puoi che dire bravo”. È l’assist per metterlo in ritmo sul palco di casa sua. E che servano i voti al cento lo sa bene Ricci che lancia la sua Opa sulle Marche, con l’unico passaggio ‘locale’ della sua analisi politica. “Apro a Gian Mario Spacca, lo vedrei bene come assessore allo Sviluppo economico nella prossima giunta. Per noi è un interlocutore necessario, dobbiamo fare questo sforzo tenendo insieme progressisti e liberali”.
Il tema però è un altro, ci si può fidare di Matteo Renzi? “Credo che la questione no sia solo di fiducia, a anche di politica. C’è amarezza, me l’hanno detto in tanti che lavorano negli stand, perché pensavano che Renzi sarebbe stato il futuro del Pd. Ma il partito – prosegue l’europarlamentare - c’è sempre, perché i valori sono chiari e mirano a costruire una prospettiva dell’Italia migliore. Chi fa politica non deve lavorare con il rancore”.
Questo significa non arrivare divisi alle prossime elezioni: “Non possiamo dividerci in tre nella stessa parte. oggi il Pd ha la leadership, lo dice il 24% alle elezioni, un voto frutto di una segretaria che no viene messa in discussione e che lei ha messo in campo una squadra plurale, grazie alle preferenze”. Preferenze che Ricci vorrebbe in ogni elezione: “Perché noi abbiamo amministratori capaci, abbiamo un Pd con figure di livello. Se lavoriamo su di noi, ma tanto, possiamo diventare il primo partito italiano”.
Per vincere bisogna superare il 40% che il centrodestra prende senza esitare, per questo serve un nuovo centrosinistra, “che includa il 5 Stelle di Conte e si rafforzi con Verdi e Sinistra, ma è fondamentale un centro forte che vale almeno l’8% e diventa così determinante”. Di questo Ricci vuole parlare con Matteo Renzi. “Non gli chiedo di tornare nel Pd, ma apriamo un dialogo per capire se nei prossimi mesi ci sono le condizioni per una alternativa con una forza liberale”.
Ricci parla anche dell’errore di Renzi, simile a Macron, “di pensare di governare un paese dal centro. Ma oggi è evidente che senza la sinistra non si va avanti”. Insomma, la sfida italiana per Ricci una partita europea: “Il sistema è polarizzato, soprattutto per l’ascesa della destra. per cui serve un nuovo e vero centrosinistra”.
Ma è fattibile avvicinare Renzi e Conte? “Schlein e io abbiamo opinioni diverse, ma una cosa mi è piaciuta quando ha ribadito ‘non metto veti’. Se ha ragione Ricci, che usa politica e matematica, la Meloni ha vinto con il 26% in ciabatte, dobbiamo agire. Guardate gli Usa, Clinton e Obama, Pelosi e Biden, Sanders e il governatore miliardario, persone diverse che si compattano per vincere e mandare a casa Trump. Ognuno fa uno sforzo e si compatta sulla Harris. I veti fanno danni, appena si superano si vince anche in Gran Bretagna. A Conte dico: il passato mettiamolo alle spalle, alleiamoci e mandiamo a casa la Meloni”.
Renzi è cresciuto nel cattolicesimo democratico ma sa bene che per vincere servono i voti di tutti per non far vincere la destra radicale. “La Schlein è stata intelligente, ha aperto all’alleanza, dobbiamo ragionare e capire come costruire un buon centro. L’importante è che la linea politica la dia la Schlein e non i giornali giustizialisti che insegnano a odiare. Lo ribadisco: la Meloni ha chance di vittoria solo se il centrosinistra resta diviso”.
Non esita su nulla, del resto “quando hanno distribuito l’umiltà io ero in ferie”. Strappa il sorriso alla folla che cresce minuto dopo minuto, superando abbondantemente le mille persone. Sa caricare la folla, usa battute, ma anche messaggi politici: “Una cosa è certa, non accetto lezioni di sinistra da Giuseppe Conte, io ho firmato per le unioni civili, lui il decreto Salvini, io lavoravo con Obama, lui non sa scegliere tra Harris e Trump. No faccio polemiche, accordiamoci e scordiamoci il passato, ma iniziamo a ragionare del futuro”.
Ricci non può lasciar cadere l’attacco a Conte: “L’aver fato cadere il governo Conte è stato un errore di strategia politica. Pur nelle mille contraddizioni dei 5 Stelle, quella tua intuizione estiva di far nascere il governo giallorosso li aveva cambiati. Nel frattempo, diversamente dalla meloni che ha isolato l’Italia in Europa, i 5 Stelle erano diventai europeisti. E il Covid aveva legato forze politiche diverse, spingendo l’Europa verso altre strade se abbiamo il Pnrr è perché i Dem, partendo da Sassoli, hanno fatto cambiare la politica economica all’Europa. Non vedere questi passi avanti è stato un errore di miopia politica. Aver fatto nascere il governo Draghi senza un confine, portando dentro anche la Lega, lo ha reso debole. E oggi nel 2024 siamo di nuovo a pensare a un centrosinistra con il Pd, il centro, che già rappresentavi, con i 5 Stelle e Avs: siamo tornati al punto di partenza”.
E non molla: “Qualche operazione strada l’hai fatta in Italia e così in Liguria. E ora lo fanno anche i 5 Stelle. Cerchiamo tutti di imparare dagli errori. Prevedo in autunno grandi turbolenze politiche”. In primis per le risorse necessarie alla legge di bilancio: “Mancano le risorse a Giorgetti e poi c’è l’autonomia differenziata, che ormai tutti hanno capito che l’Italia verrà divisa anziché ricucita. Se scatta il senso vero dell’operazione, di creare 20 staterelli, potremo raggiungere il quorum e vincere”.
Lo ascolta Renzi, che quando prende il microfono in mano è instoppabile anche per Myrta Merlino: “Se vogliamo fare le cose sul serio, io ci sono. E magari torneremo al lavoro anche prima del 2027. Ma per mettersi d’accordo dobbiamo darci regole certe”. Parlerebbe per un’altra ora, ma è tempo di chiudere. Il palco deve passare ai sindaci, da Biancani a tanti altri, per parlare di quel ‘buon governo’ che resta la risorsa principale del Pd e del centrosinistra in generale.