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Questione di ruolo, intervista a Pancotto, mister 1000 panchine. "Ho scelto di fare l'assistente, guardo il basket con occhi diversi"

22 Novembre 2023

di Raffaele Vitali

PORTO SAN GIORGIO - Mister mille panchine in serie A, il sangiorgese Cesare Pancotto, non è uno che ama stupire, ogni scelta è ponderata. Quelle in campo, quelle nella vita. Come l’ultima, fare l’assistente allenatore a Napoli. “Ho scelto io” sottolinea con la solita voce ferma.

Pancotto, cambia stare in campo da vice e non da allenatore?

“La sensazione è quella dell’uomo. Il riassaporare odori e colori della propria terra, di quel parquet che amo. La responsabilità è differente, ma la passione e l’entusiasmo di vivere in mezzo a un campo di pallacanestro è la stessa”.

Vice coach o senior assistant, quale è il suo ruolo?

“Sono un assistente allenatore, con le mie responsabilità”.

Ovvero?

“Penso alle schede individuali di ogni giocatore, guardando le partite e le caratteristiche. Evidenziando gli aspetti che servono all’allenatore, Igor Milicic. Faccio un lavoro da aiuto allenatore a tutto tondo. Ho comprato un nuovo computer. È anche questo un ripartire”.

È difficile?

"Sono operativo, in palestra sto con il pallone sotto braccio, se serve lo passo. Cerco di essere quello che avrei voluto al mio fianco”.

Dopo 40 anni da head coach, come si trova da assistente?

“Le responsabilità che mi vengono date sono aiutate dalla mia esperienza. Le tante gare di serie A, i tanti modi diversi di vedere le cose che accadono. Se non sei curioso non cresci. E invece io ho grande curiosità. Ho un occhio abituato a vedere quello che accade. Guardo analiticamente, il lato caratteriale quello comportamentale, le difficoltà del momento. Ho l’occhio abituato a vedere le cose. So che sono cambiate le cose, se non aggiunti lo sguardo non vai lontano”.

Lei era famoso per i block notes pieni di appunti, usare il pc è la rivoluzione?

“Lo definisco un miglioramento. Io scrivevo tanto. All’inizio poteva essere una difficoltà, ma superandole capisco quanto valgo. Ogni  passo avanti fa crescere l’autostima. E questa non ha età. Aver ripreso un pc ed essermi fatto aiutare dai giovani è un plus. Se ho dei dubbi, li risolvo”.

Farsi dare indicazioni dopo averle date…

“Non è difficile, ho voluto fare l’aiuto allenatore. Quindi sono io che ho accettato la proposta. Sono andato incontro alla consapevolezza del mio ruolo, quindi cerco di esaltare quello che mi viene chiesto e porto il mio contributo”.

Come è l’allenatore. È nuovo, ma affermato. Come lo vede?

“C’è chi va all’estero per aprire la mente, ho la fortuna di avere un coach che da fuori viene in Italia e con il suo sistema di lavoro ci apre la mente. Ha una grande personalità e idee molto chiare. Lavora molto e di qualità, ha rispetto dei ruoli e ascolta”.

Anche lei un lavoratore. Vi ha unito?

“Il basket alla fine è uno. Aver visto tante cose in cui credo, ha esaltato il mio modo di vivere questo sport. Il lavoro è rispetto verso gli altri, il club, i giocatori, il pubblico e verso me stesso. Questo lavoro è h24, del dare e non del chiedere. Il lavoro è un andare verso”.

La tecnologia ormai domina il suo lavoro?

”Abbiamo molti mezzi. Poi bisogna fare sintesi. Se prima c’erano solo i video, oggi hai programmi che ti fanno vedere ogni cosa, anche i singoli tiri solo di destro. La capacità è fare sintesi, in questo la mia esperienza diventa un valore aggiunto, so selezionare. Alla fine, quello che poi conta è la testa dell’uomo”.

Durante la partita quale è il suo compito?

“Siamo due assistenti. Io mi occupo dell’attacco, l’altro di difesa. Ma ci si confronta. Quando c’è una cosa che va fatta modificare, se noto che manca qualcosa nei giochi, mi alzo. Se invece è per la difesa, si alza lui. Abbiamo un coach che ascolta molto in campo e durante la settimana. Finita la partita parliamo subito, un briefing emotivo. Poi ognuno deve preparare la sua partita, lui ne vuole due anche per valutare differenze di opinione, un lavoro impegnativo anche per lui, ma il lavoro non lo stanca. Combiniamo energie per un lavoro che diventa sintesi”.

L’anno scorso hai salvato Napoli, si aspettava qualcosa di più?

“C’era chiarezza. Io son partito per fare due anni da aiuto allenatore. E non ho avuto dubbi di rimanere come assistente. Era il ruolo e la competenza, il miglioramento che volevo fare. Volevo vedere il basket con un occhio differente. Se per 40 anni hai fatto il capo, ci sei sempre. Cambia solo la responsabilità, non il valore”.

Quindi la vedremo prima o poi a Pesaro?

“Non posso programmare a lungo un percorso a questa età…(sorride). Di certo, la passione e l’energia che sento mi danno la motivazione, per cui, non mi fermo”.

Napoli cosa le sta dando?

“È il secondo anno. Sono conquistato dall’entusiasmo di una città meravigliosa piena di contraddizioni. Una città che ti fa aprire la mente e fa apprezzare la quotidianità. È una città ambiziosa che vuole competere e ha il potenziale culturale e umano per farlo”.

A livello di basket cresce la passione?

“Non è mai mancata. Molti anni fa Napoli era al top. Poi hanno avuto un periodo complicato a livello societario. Questa nuova società sta ridando energia a un entusiasmo che esiste. E lo fa con una struttura sempre più di altissimo livello, per stare bene in serie A”.

Pubblico?

“Abbiamo giocato con le big, Milano e Bologna, ma solo sold out. Lo vedo come premio per Napoli e la sua società. Abbiamo un gioco che piace alla gente,  un basket di corsa in cui non deve mancare il pensiero, che significa anche aggressività. Un basket molto strutturato e organizzato”. Un basket da Pancotto.

Raffaele Vitali - via Leopardi 10 - 61121 Pesaro (PU) - Cod.Fisc VTLRFL77B02L500Y - Testata giornalistica, aut. Trib.Fermo n.04/2010 del 05/08/2010
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