FERMO - Marche chiama Arabia. Cresce l’interesse della piccola industria nostrana per il mondo saudita, fertile terreno per l’export. Ma l’interesse non basta.
Per fare affari nei Paesi degli sceicchi bisogna essere preparati. Conoscere sì la lingua, ma anche la cultura, le abitudini e quello che gli inglesi chiamano “mood”. L’umore, il clima sociale. Il tema è stato al centro di un incontro che s’è tenuto di recente a Roma, alla Camera di Cooperazione Italo-Araba.
L’emirato di Ras al-Khaima, uno dei più ricchi e popolosi, Qatar e India sono i Paesi sui quali è puntata l’attenzione dei piccoli industriali marchigiani. Un interesse provato dai numeri, con più di diecimila domande di assistenza sulle misure di sostegno all’internazionalizzazione arrivate al Simest negli ultimi sei mesi, contro le novecento della media annua (e Simest infatti ha ora bloccato le richieste, ndr).
«Purtroppo – spiega il presidente di Piccola Industria Marche, Gianni Tardini –, non basta avere prodotti di qualità e il materiale promozionale aziendale tradotto nella lingua del Paese di interesse per proporsi e trovare riscontri positivi. Anche se i nostri prodotti hanno enormi potenzialità, spesso mancano di un’assistenza professionale costante. Passaggi fondamentali per le aziende, perché restituiscono con estrema esattezza quali sono i punti di forza, ma anche i limiti delle azioni autonomamente condotte che potrebbero rivelarsi inefficaci».
Packaging sbagliati, interlocutori sul Paese non adeguatamente formati, problemi burocratici e logistici – per il delegato all’internazionalizzazione di Confindustria Centro Adriatico – sono fattori da non sottovalutare per «evitare insuccessi all’estero e far crescere la professionalità delle risorse umane interne».
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