FERMO – Prima la nascita di un’associazione liberal, ora lo strappo con il suo partito, il Pd, Paolo Nicolai, consigliere comunale di Fermo, a lungo leader dei Dem, anima l’estate del centrosinistra.
Nicolai, che succede?
“Qualche giorno fa mi sono dimesso dagli organismi dirigenti del Partito Democratico provinciale e comunale pur rimanendo un tesserato ed un amministratore locale Dem”.
Il motivo è locale?
“Tralascio le problematiche locali, perché in questo caso poco mi interessano (ma è innegabile l diversità di vedute dal segretario Piermartiri, ndr), le motivazioni che mi hanno spinto a questo sono del tutto legate al livello nazionale”.
Cosa non le piace?
“Poco spazio, anzi nullo, da Zingaretti in poi fino alla Schlein alla cosiddetta parte della “sinistra social-liberale”, come se qualsiasi cosa facesse riferimento a quelle posizioni sia oramai da aggredire, vituperare, tenere lontano”.
Non le piace questo Pd più a sinistra?
“Si cade spesso sotto il gioco della destra, contorcendoci su discussioni inutili che il centrodestra stesso ci dà in pasto e che trovano diviso il cosiddetto campo largo, che in realtà non trova conferme. Abbiamo lasciato uno spazio enorme del paese alla Meloni e non ce ne stiamo accorgendo. Non stiamo coinvolgendo, stiamo settorizzando il nostro messaggio politico, in maniera neppure chiara”.
Quali sono i messaggi sbagliati della segreteria del Pd?
“Non mi trovano d’accordo le posizioni confuse legate al nostro posizionamento internazionale. Non mi trova d’accordo soprattutto il modo con cui approcciamo questioni importanti come la giustizia, le riforme fiscali e del lavoro. Ci riduciamo molto spesso a criticare l’avversario politico in modo asfittico e indignato senza avanzare nessuna seria proposta complessiva e di visione. Crediamo di poter fare opposizione su singoli episodi o scandali. Non pretendo che la mia visione debba essere per forza quella interpretata dal mio partito di appartenenza, ma vorrei che questo abbia almeno l’aspirazione di avere un modello abbastanza omnicomprensivo di società”.
Non sarà che è lei ad essersi allontanato dal Pd?
“Io non mi sono mai mosso da lì, non ho mai rinnegato la mia appartenenza, per via dei ruoli che ricoprivo all’interno degli organismi di partito non ho mai criticato pubblicamente segretari che poco condividevo in questi anni. Già nel 2018 lo avevo detto: ‘Dobbiamo mettere al centro i problemi della classe media italiana, motore per il vero rilancio dell’ascensore sociale, senza aver paura di affrontare la globalizzazione e l’evoluzione tecnologica come opportunità ma anche come portatrice di problemi reali’”.
Da quando ha perso il leader? “Ho votato quella brava persona di Pierluigi Bersani perché convinto (da liberale) che c’era bisogno di ristabilire un’equità sociale che una certa sinistra poteva garantire, mi sbagliavo; quando è stato evidente che neanche quel blocco sociale a cui parlavamo ci ha sostenuto ho capito che quella storia sarebbe stata inevitabilmente da rivedere. Questo si poteva e si può fare solo dentro un grande partito, organizzato che riesce a tenere insieme gran parte di quelle sensibilità politiche che lo formano. Trovando di conseguenza una sintesi di caduta da presentare al paese. Questo non è e non è stato, ci ritroviamo così come leggo anche sui giornali a parlare di noi stessi dei nostri scontri dei nostri gossip interni. Senza capire che nessuno ci critica e pochi ci calcolano”.