di Francesca Pasquali
FERMO - Vuole fare delle Marche il più grande distretto del biologico d’Italia, la Regione. E metterci dentro i quattromila operatori del settore.
Per convincerli, ha messo sul tavolo un finanziamento di 100mila euro e la promessa, per i produttori, di bandi per 25 milioni (per quest’anno), più altri 18 per le filiere di qualità e i prodotti locali. La nuova ripartizione dei bio-distretti (quella che ha fatto infuriare il sud delle Marche) è stata presentata stamattina dall’assessore all’Agricoltura, Mirco Carloni.
LA STRATEGIA
Come anticipato dalla nota del Bio-distretto Fermano-Piceno, la nuova politica agricola regionale prevede tre tipi di bio-distretti: dei prodotti certificati, dei prodotti locali o di prossimità e il Distretto del biologico regionale, quello che ha scatenato le ire del sud della regione. «Vogliamo valorizzare al massimo questa opportunità – ha spiegato Carloni –, che deriva da decine di anni di lavoro da parte dei nostri agricoltori, veri custodi della terra che hanno saputo coltivare e di cui hanno saputo mantenere le biodiversità. Tutto questo oggi ci porta a essere la regione che ha la maggiore percentuale di produzione biologica, circa il 23% su una superficie di 110 mila ettari, quando la media nazionale è del 15%».
I NUMERI
Dati alla mano, sono quattromila gli operatori marchigiani che operano nel biologico (circa il 10%). Un settore in costante crescita, con gli acquisti aumentati, nelle Marche, del 7%, contro il 4% della media nazionale. Il patrimonio enogastronomico marchigiano comprende 37 certificazioni (di cui 21 vini) e più di cento prodotti commercializzati con il marchio regionale “QM – Qualità garantita nelle Marche”.
Ci sono, inoltre, 154 prodotti iscritti nell’elenco regionale dei prodotti tradizionali, dieci presidi Slow Food, otto indicazioni geografiche protette e quattro aziende utilizzatrici di prodotti di montagna. «Il Distretto marchigiano – ha proseguito Carloni – deve diventare elemento di valore e di promozione. È una partita internazionale quella che abbiamo deciso di giocare sul biologico. È la direzione giusta per difendere le nostre produzioni, trasformandole in un’occasione di promozione dell’agricoltura regionale e di valore aggiunto sul fronte turistico».
IL SI' DI COLDIRETTI
Il riconoscimento dei distretti passa per le Regioni. Le Marche hanno ridefinito i criteri di approvazione in accordo con il Tavolo politico strategico (quello a cui Aiab e Bio-distretto Fermano-Piceno lamentano di non essere stati invitati). Possono richiedere il riconoscimento di distretto le aziende agricole singole e associate, le organizzazioni dei produttori e i soggetti pubblici e privati. Una volta riconosciuto, il distretto opererà sulla base di uno specifico accordo, mentre la Regione istituirà un elenco regionale, comunicandolo al Ministero delle politiche agricole. Plaude al progetto del Distretto regionale del bio, Coldiretti. «Le Marche – chiosa l’associazione di categoria – hanno la possibilità di diventare un grande distretto biologico, ma questo avverrà solo se si avrà la capacità di lavorare in maniera unitaria, come sta avvenendo anche in altre zone d’Italia e addirittura a livello interregionale».
«La nostra regione – conclude la presidente di Coldiretti Marche, Maria Letizia Gardoni – paga da sempre una visione frammentata. È vero che i nostri territori devono la propria ricchezza alla diversità, ma in questo caso è necessario proporsi in maniera univoca e solida all’attenzione di un mercato più vasto e in continua crescita».