E' di Porto Sant'Elpidio l'unico produttore ed esperto marchigiano chiamato al concorso più importante d'Italia.
di Raffaele Vitali
PORTO SANT’ELPIDIO – “Non esiste la birra, esistono le birre”. Non diventerà il nuovo Steve Jobs e non fonderà l’Apple 2.0, ma di certo dal suo garage l’elpidiense Roberto Perticarini sta scalando i vertici nazionali del mondo della birra.
Una bilancia, bottiglie che asciugano, un vecchio stero, secchi di plastica e d’acciaio, sacchi di grano: ecco il birrificio home made, fatto in casa, dentro quello che per tutti sarebbe invece un semplice posto auto. È diventato così bravo che sarà uno dei giudici al ‘Beer Attraction’ la più importante manifestazione italiana dedicata alla birra in programma a Rimini. “In tutto saremo in 108, metà italiani e metà stranieri, per giudicare 2145 birre, prodotte da 302 birrifici” spiega orgoglioso. Ma non basta, sarà a Siena dove è stato estratto un luppolo da piante secolari: “L’Università ha scelto sei homebrewer in Italia per testarlo. Ognuno di noi ha realizzato una birra che verrà provata”. Insomma, un vero numero uno Perticarini. Ma non c’è diventato per caso. Il primo segreto è la passione, il secondo lo studio, il terzo, senza ombra di dubbio, l’amore per la birra.
Perticarini, lei è il perfetto homebrewer?
“Quando giro per l’Italia, penso sempre a mia madre che mi diceva ‘con quella birra ci farai una finaccia’. E invece ora mi pagano per berla. Ho iniziato a fare la birra sei anni fa. Dal berla al provare a farla non è un passaggio così scontato. Per quattro mesi ho studiato tantissimo. Ho comprato libri. Dopo sei mesi sono arrivato terzo al primo concorso. Poi ho cominciato a vincerne con mie birre prodotte qui, nel mio garage. All’ultimo campionato italiano sono arrivato settimo insieme a Christian Barchetta”.
Il pezzo forte?
“Berliner Waiss e Scottish. Ma la bitter è la mia birra, poco gassata, leggera, che ha un’entrata dolce, caramellata e poi ti resta l’amaro, terroso, inglese. Per farla uso un luppolo particolare, ma se uno non la prova difficilmente capisce”.
Nei suoi sei anni di attività, quanto è cresciuto il movimento del Fermano?
“Si comincia a trovare birra artigianale un po’ in tutti i locali. Anche al mare, negli chalet. Era impensabile. La curiosità fa provare, poi sta a chi gestisce il locale spiegare il perché è meglio bere una cosa piuttosto che l’altra”.
Ma si impara a bere birra?
“Sono diventato referente regionale dell’Unionbirrai, uno degli aspetti più belli è insegnare, tenere corsi innanzitutto per capire la birra. Aspetto visivo, olfattivo, gustativo, le sensazioni boccali: sono diversi i fattori da conoscere. Il percorso di esperto è come il vino, ci sono due livelli, poi c’è un’abilitazione che ti dà accesso al percorso da docente e infine, magari, da giudice”.
Docente cosa significa?
“MI capitano corsi di degustazione di primo livello, anche indetti da me. Si fanno nei locali siamo tre i tutor nelle Marche. Le lezioni sono dieci per il primo livello, sei per il secondo. C’è molta dinamicità tra Macerata e Ancona, meno nella zona di Fermo e Porto San Giorgio. Di solito le lezioni avvengono nel giorno di chiusura”.
Chi è l’utente medio?
“Età dai 25 ai 40 anni, la fascia curiosa. Un corso costa 270 euro per dieci lezione. Ma ogni lezione prevede 4 degustazioni di birra, dispense e cena finale, oltre a quattro bicchieri da degustazione con il logo dell’Unionbirrai e diploma finale). Il cliente è chi gira per i pub e si trova in difficoltà davanti alla lista delle birre. Invece, quando finisce il corso distingui esattamente una birra belga da quella inglese o americana.
Pronto per fare il giurato?
“Un po’ di tensione c’è sempre. In Italia il punto massimo è Rimini. È il sogno di ogni degustatore. Mi ci immaginavo tra qualche anno e invece eccomi”.
Partendo da un garage.
“Questo è il mio regno, il mio caveau. A livello di homebrewer ci sono tanti siti e forum. Io sono un grande condivisore di ricette. Mi scrivono dalla Calabria, dal Veneto e mi mandano le loro idee, ci lavoriamo insieme e le modifichiamo. Ci sono regole non scritte, ma certe. Parlando con birrai, chiedendo e provando si migliora. Un giorno ho fatto cinque cotte di fila per trovare quella che volevo io, modificando di 50 grammi di una cosa, trenta di un’altra”.
Chi produce per sé partendo da un garage, chi arriva in negozio. Cosa serve per una produzione commerciale di birra artigianale?
"Servono investimenti economici importanti in attrezzature per migliroare la qualità della birra e capacità personali che maturano con studio, esperienza e conoscenza delle materie prime. In questo campo nelle Marche abbiamo delle eccellenze che ci fanno stare al passo dei migliori in Italia"
Perticarini, ma perché una birra artigianale costa così tanto?
“Costi enormi. Acqua, corrente e accise. La Peroni con un chilo di malto tira fuori il 97% di zuccheri, un artigianale il 75%. È una lavorazione complessa. Vengono usati i succedanei dai birrifici industriali, si sente l’odore del mais, l’artigianale non lo fa. E poi ci sono i luppoli. Partendo da 1500 litri, ne imbottigli al massimo 1300, ma intanto hai pagato le accise su 1500, che si contano sul mosto prodotto. Da qui il prezzo che sale”.
Il prezzo vale la qualità?
“Birra artigianale non significa per forza birra buona. Nel nostro mondo si dice che impari a fare una birra quando fai una ricetta tua: immagini la birra, la realizzi ed è come speravi. È il momento in cui hai imparato a usare i malti. Se sbagli salta tutto. Ad esempio nella Scottish c’è il malto caramello, è molto particolare, dolciastro e va usato nelal giusta percentuale.
Come si migliora?
"Studiando. Internet aiuta, ma ho almeno venti libri, in italiano e in inglese. E poi provando i malti, i lieviti”.
È un investimento pesante?
“All’inizio la spesa c’è, poi quando cominci a fare lezione tutto è più facile. Con 350 euro in realtà si crea il primo kit e cominci a fare la birra e puoi produrre una ventina di litri. Serve anche l’ingegno: ho creato una camera di fermentazione in un vecchio frigorifero”.
Come si avvicina la gente alla birra?
“D’estate le feste, penso a grano e luppolo. Le persone vanno incuriosite”.
Non hai mai pensato a una produzione?
“Mi chiamano il ‘predicatore della birra’. Mi piace insegnare alle persone a bere la birra buona. Cercare di creare cultura è più importante. Ho 55 anni e faccio il fabbro, il primo sistema filtrante l’ho creato da solo. La birra è una passione”.
Le piacerebbe insegnare, magari all’Alberghiero?
“Mi piacerebbe, ho mandato una mail. Ma non ho ancora avuto risposta. Mi piacerebbe entrare nei campeggi, dove c’è il tempo di spiegare”.
Birrifici artigianali, che mercato hanno?
“Sfatiamo un mito. Il mercato il 97% della birra che si consuma è industriale, il 3% artigianali. Negli Usa siamo al 17%. Abbiamo birrifici come le Fate che cercano di valorizzare il territorio, usando ingredienti locali dalla mela rosa al tartufo, ma non è facile affermarsi. Di certop è un mercato in continua evoluzione. C’è un incremento del 17% dei posti di lavoro a livello italiano. Il piccolo birrificio cerca di colpire con il particolare. Ma non è questa la strada. Che è sempre e solo una: la qualità”.