Ci siamo, la scuola, dopo lunghissimi mesi, riapre. Tornano in aula i bambini, ci tornano gli adolescenti, ci tornano gli universitari. Purtroppo non ci tornano i politici, che altrimenti imparerebbero molto, magari ripartendo proprio da quelle ore di educazione civica che il ministero ha ripristinato.
Scuola significa futuro. Scuola significa cultura. Scuola significa evitare di consegnare le persone all’ignoranza e quindi al controllo della politica peggiore, quella che vive sulle paure, quella che alimenta il sospetto, che allontana le persone dall’impegno civile garantendosi così sopravvivenza.
E invece la scuola ha bisogno di tutti. Dei professori, categoria sottopagata quanto importante, che svolgendo servizio pubblico deve sforzarsi come altri di superare anche le proprie paure. Del personale Ata, che pare sempre un gradino sotto, ma senza cui le porte non si aprono, la sanificazione non ci sarebbe, il laboratorio resterebbe spento.
Ma soprattutto la scuola ha bisogno delle famiglie, che devono tornare a essere le vedette sul territorio, la prima forma di controllo sociale e di educazione. Perché si misura la febbre a casa? Perché il bambino a scuola con la febbre non dovrebbe arrivarci proprio. Ma poi che accade? Il punto è proprio questo, la politica avrebbe fatto bene a interessarsi del welfare di chi potrebbe trovarsi alle 8.15 con un figlio da tenere a casa e non del termoscanner alle elementari.
Si sa, più facile fare polemiche che trovare soluzioni in tempi difficili. Ma intanto, per fortuna, la campanella suona e il mondo si riprende un pezzetto del suo futuro.