di Raffaele Vitali
FERMO – C’è un reparto a Fermo che non si è mai fermato e che ha saputo creare una vera bolla al suo interno superando così indenne questo lungo anno pandemico: è l’Oncologia guidata dal primario Renato Bisonni.
Bisonni, oncologia si è mai fermata?
“Assolutamente no. Numeri in linea, anzi lievemente migliori”.
Quanti pazienti seguite?
“Intorno agli 800, undicimila giornate di day hospital nel 2020. Nonostante la pandemia”.
Come ha impattato il Covid 19 sull’attività?
“Da una parte l’ha rivoluzionata. Abbiamo messo fin da subito norme di sicurezza molto rigide. Distanziamento, nuovo modo di lavorare e ci è anche dispiaciuto. Abbiamo dovuto isolare i pazienti dai familiari e dalle varie associazioni di sostegno. Ma questo ha permesso che nessun medico e operatore ha avuto problemi di Covid. Posso dirmi bravo e fortunato”.
Quanto ha impattato dal lato emotivo questa organizzazione?
“La malattia oncologica non è solo malattia, è psiche. Un conto è affrontare la cura con un’assistenza a fianco, un altro è ritrovare il proprio caro quando esci. È un modo diverso, complesso per i pazienti, ma nessuno si è lamentato. È stato apprezzato il grande sforzo. Ci hanno visto scafandrati e per chi era abituato a vivere il reparto ha subito colto la differenza anche per il personale nel modo di lavorare. Se c’è una cosa che caratterizzava oncologia era anche la sua familiarità, per certi versi il rumore: oggi regna il silenzio, le terapie si fanno a letto, massimo due persone in sala d’attesa. Ogni norma possibile è stata applicata”.
Come siete riusciti a evitare casi di Covid?
“Chi entra in reparto viene tamponato. Vale anche per il personale. È complessa la gestione, è molto burocratica ma cresce la sicurezza. Abbiamo stoppato pazienti Covid prima di entrare in reparto”.
Parliamo di vaccinazioni, come è la situazione per i pazienti oncologici?
“Gli ultra ottantenni vanno avanti. Forse ci daranno le dosi per il day hospital, aspettiamo il piano della regione”.
Non crede che dovrebbe essere una priorità il suo settore?
“Ognuno ha le sue priorità. Chiaro che per i miei lo avrei fatto prima di tutti. Poi ci sono le regole nazionali e non si possono inventare. Tra l’altro con le difficoltà di reperire il vaccino”.
Sugli oncologici ci sono studi mirati, vaccini sicuri?
“Non ci sono controindicazioni, anzi. Letteratura scientifica consolidata, i pazienti oncologici devono vaccinarsi”.
E i pazienti fuori dall’ospedale, quelli nel percorso almeno quinquennale post chemio?
“Per quelli non ho ancora indicazioni. A oggi si parla di quelli che accedono al reparto. Sono pronto ad aprire una stanza e a vaccinare ogni ora. Appena mi dicono quello che possiamo fare. Ci credo a tal punto, che nel pomeriggio vado a Montegranaro a vaccinare gli anziani. È l’unico modo per uscirne. E come me altri dottori del reparto e tanti colleghi: mettiamo a disposizione per il nostro tempo”.
Anpof fuori dal reparto, quanto manca?
“Penso anche all’Abbraccio a Montegranaro, che ha un ruolo impattante. Associazioni preziosissime e oggi lontane. All’inizio abbiamo accusato il colpo, la mancanza è stata forte. Li attendiamo quanto prima. Ma, la sicurezza è oggi la priorità”.
Terapia ma anche chirurgia oncologica. Come avete gestito le chiusure delle sale operatorie?
“C’è stata la fase 3 che ha impattato anche sul nostro reparto. Abbiamo perso un centinaio di pazienti proprio per questo rispetto al 2019. Alcuni sono andati altrove. Poi abbiamo recuperato qualcosa, ma rispetto all’anno scorso ho duecento giornate in più di day hospital a dimostrazione di come abbiamo continuato a lavorare”.
Personale, quanti siete oggi?
“Sette medici (nella foto Bisonni con tre nuove dottoresse Torniai, Rinaldi e Baleani, ndr)e nove infermieri e poi Oss. Il dottor Livini ci ha garantito il lavoro, fornendo quel che serviva”.
Novità in reparto?
“Abbiamo inserito ogni novità e grazie alla direzione sanitaria abbiamo anche avuto accesso a protocolli per medicinali che l’Ema ha già approvato e che Aifa sta per autorizzare. La nostra direzione sanitaria, che definisco illuminata, non ha avuto dubbi nel farci usare qualcosa che è solo in attesa di rimborso economico, ma già funzionale. Quel lasso di tempo che passa tra Ema e Aifa a volte viene passato rimanendo fermi, invece al Murri sono stati rapidi e siamo al pari con Germania e altri Paesi europei”.