di Raffaele Vitali
FIRENZE/SANT'ELPIDIO A MARE – C’è un po’ di magia in un angolo del padiglione centrale del Pitti Uomo. Ed è quella che porta Silvano Lattanzi, affiancato dal figlio Paolo, titolare del calzaturificio Zintala a Sant’Elpidio a Mare.
Lo stand è basico, il nome scritto in corsivo, file di scarpe di cuoio che luccicano nella loro bellezza, ci sono modelli che valgono migliaia di euro, e un quadro con dentro il diploma di cui Lattanzi va più fiero, quello di ‘qualità italiana’ ricevuto nel 1975.
Lattanzi, cosa l’ha riportata al Pitti Uomo?
“Il piacere delle serate fiorentine” risponde scherzando ma non troppo. “Per me questa città è interazione pura, è vivere il bello a tutto tondo. E poi, è un modo per dire ‘siamo ancora qui’. Io e mio figlio”.
Perché quel quadro?
“E‘ un messaggio, che si unisce alle due foto appese sotto, una di me da giovane e un’altra di pochi anni fa: un messaggio per i giovani, è far vedere che di può stare in questo mercato per decenni. E starci in prima linea”.
Non tutti quelli che la circondano ci hanno creduto?
“A chi dubita dico una cosa molto semplice: inutile mettermi i bastoni tra le ruote, perderesti del tempo. Le mie ruote non hanno raggi, per cui lasciami stare e fammi andare avanti”.
È cambiato il cliente?
“Non conosco tutto il mondo di oggi, ma se penso a tre buyer entrate poco fa nello stand e al lor commento, “queste sono opere d’arte”, posso dire che anche se cambia il cliente comprende ancora la qualità. Quella che perseguo da sempre, la cercavo anche dentro Confindustria quando sono stato presidente”.
Lattanzi, ma come si vende una sua scarpa in un mondo che cerca il prezzo?
“Noi non vendiamo scarpe, vendiamo dei sogni. Il mio è un lusso non urlato. Se Paolo porta avanti la storia, sono ancora in grado di accompagnarlo, avendo le mani ferme. Di certo sotto terra mi porterò ogni segreto della produzione, li svelerò solo a Paolo”.
Stanco ma non ancora pronto per la pensione?
“Sono una persona provata dalla vita, ma sono quello dei seimila modelli conservati nel museo aziendale. Nel 1971 sono partito con una piccola produzione di scarpe fatte a mano e su misura di altissima qualità. Mi ispirai alla scuola inglese. Scelsi la zona di Cura Mostrapiedi, le sue strade bianche dove si producevano scarpe di non alta qualità e a basso prezzo, ma in grande quantità. Non fu facile inserirsi, oggi il brand è vivo ed è arrivato alla ‘notorietà internazionale”.
Ma come si può mantenere la qualità, i giovani imparano?
“Ho la fortuna di avere un figlio che ha amore per il colore, ha il senso del laboratorio e la capacità di capire la pelle. Per questo spero che Paolo possa continuare. Per quanto riguarda la formazione la lascio alle scuole, all’ITS del mio amico Santori. Resta il gap culturale delle famiglie, che preferiscono mandare un figlio lontano, perfino aa fare il cameriere a Londra, piuttosto che avvicinarlo auna fabbrica di scarpe. Oggi spesso i giovani partono con scarpe e vestiti fatti in Cina che non si riciclano e pensano di essere come i nostri migranti con le valigie di cartone alla conquista del futuro. Se vogliamo una realtà sostenibile e made in qualcosa deve cambiare”.
Lattanzi, l’azienda come va?
“Abbiamo chiuso un 2024 positivo, anche oltre le aspettative. E ora ci prepariamo a un 2025 importante. Siamo tornati dopo 15 anni a New York ed è stato un successo, abbiamo clienti a Dubai. Per cui, siamo ancora qui”.