FERMO – Nelle Marche c’è un problema e si chiama precariato lo denuncia la Cgil marche nel suo report che prende spunto dall’osservatorio sul mercato del lavoro dell’Inps. Ma c’è anche un dato positivo, la situazione assunzioni è migliore che nel resto dell’Italia.
Tra gennaio e giugno 2024, le aziende hanno assunto 119.398 persone, -1,5% rispetto allo stesso periodo del 2023 (Centro Italia -4,6%, nazionale -1,6%) e -5,2% in meno rispetto al 2022. Il saldo assunzioni - cessazioni risulta tuttavia positivo nel complesso (+33.269), essendo state 86.129 le cessazioni dei rapporti di lavoro (+0,5% sul dato 2023, -3,8% rispetto al 2022).
Purtroppo, sottolinea l'Ires Cgil Marche, diminuiscono le assunzioni a tempo indeterminato (-5,1%), in apprendistato (-16,3%) e in somministrazione (-9,5%), mentre aumentano quelle con contratto intermittente (+6,6%), stabile il contratto a termine.
Sul totale delle nuove assunzioni, quelle a tempo indeterminato sono una quota molto ridotta 10,8% (in Italia si attestano al 16,3%), le Marche si collocano al terzultimo posto. La regione risulta invece essere la prima in Italia per la più alta incidenza dei contratti intermittenti: 19,5% contro la media nazionale del 9,8%. E questo è legato alla sua natura manifatturiera e stagionale.
I rapporti part-time incidono per il 35,5% con una netta differenza di genere: tra gli uomini le assunzioni sono il 25,5% del totale, mentre tra le donne la percentuale sale fino al 48,6%. Le trasformazioni di contratti precari in rapporti a tempo indeterminato sono state 11.717, -1.085 rispetto al 2023 (-8,5%). Aumentano i licenziamenti di natura economica (+916, +19%) e le cessazioni per fine contratto (+999, +2,1%).
“I dati certificano come il precariato rappresenti oramai una vera e propria piaga. La Regione – sottolinea Eleonora Fontana, segretaria regionale Cgil Marche - ha impiegato le risorse del Pnrr per interventi mirati a determinati target: giovani, donne e over 50, ma ad oggi i singoli interventi non sembrano aver incentivato le forme di lavoro stabili e di qualità. Serve una visione di lungo periodo per cambiare il modello economico e sociale”.