di Raffaele Vitali
FERMO – “Costruiamo tanti progetti sul territorio, ma non è facile agganciare candidati e imprenditori. C’è meno voglia di studiare, tutti dobbiamo sforzarci per cambiare l’approccio al tema della formazione”. Parole di Tania Danti, lavora per l’agenzia Adecco ed è la responsabile delle Marche (Head of Operations).
Danti, si parla sempre di posti di lavoro disponibili per cui non si trovano persone. Come vi state muovendo?
“Ifts, bandi della regione Marche, corsi con l’università Politecnica e istituti superiori. Una rete che cresce e si rafforza e che ci permette di inserire persone anche senza diploma”.
Ma si trovano i lavoratori?
“Non è semplice il recruitment, rimettersi a studiare non è facile. Ma l’apprendistato duale attira. Parliamo quindi di studenti lavoratori che due settimane al mese lavorano e vengono retribuiti. Se necessario mettiamo a disposizione pc e rimborsi chilometrici”.
Studiare è un problema?
“C’è la tendenza, negli ultimi due anni, al volere tutto e subito. Invece bisogna investire nella costruzione della professionalità. Diventa fondamentale connettere le figure interne delle aziende e lo studente lavoratore che così si sente parte di un percorso professionale”.
Cosa chiede il giovane?
“Non solo i ragazzi, anche gli adulti, nel post covid cercano qualità di vita e non solo stipendio. Quando faccio i colloqui, soprattutto ad under 30, chiedono se sono seguiti e se l’orario è flessibile. Il tempo per coltivare gli interessi personali è cresciuto. Elemento che diventa fondamentale anche rispetto alla retribuzione”.
Ma questo gli imprenditori lo capiscono?
“Ne parliamo spesso internamente, in primis per il Fermano con la responsabile provinciale Simona Romagnoli, le aziende devono imparare a costruire il percorso per i dipendenti. Noi possiamo affiancarli, di certo deve essere garantita la crescita perché altrimenti un dipendente teme di restare poi fuori dal mercato in caso di tagli o cambiamenti”.
Quale deve essere il messaggio che un’azienda deve mandare a chi cerca lavoro?
“Non ti offro solo un posto, investo su di te”.
In sede di colloquio si informano sulle politiche di welfare aziendale?
“E’ una delle domande che ci pone chi cerca lavoro, sapere quello che offre l’azienda oltre allo stipendio. Se esistono buoni pasto, convenzioni per palestre e benzinai. E poi c’è particolare attenzione al tempo. ‘Fanno orario continuato?’ è una domanda costante. Tutti cercano il conciliare famiglia-lavoro”.
L’imprenditore è pronto per questo?
“Anche in piccole aziende si sta cominciando a lavorare sul welfare. Molte non fanno più orari spezzati ma orario continuato. Chiaramente siamo distanti da parlare di sistema di welfare, che riguarda le aziende più strutturate e i brand. Piccoli passi però si vedono”.
Possiamo dire che sono costrette le Pmi?
“Parliamo di cause di forza maggiore. Ma anche consapevolezza che investire nel capitale umano serve”.
Dottoressa Danti, pensando al calzaturiero. Nel resto della regione c’è consapevolezza di cosa comporti lavorare in un’azienda che produce scarpe? Visto che si cercano tante figure, magari si trovano in altre province.
“C’è tanto passaparola e questo crea il pregiudizio. Il tema della manovia e delle colle ancora domina. Ancora si parla di ‘fatica’. Noi lavoriamo anche su questo, facciamo capire che il sistema sta cambiando, in particolare nelle imprese più strutturate, quelle con decine di dipendenti dove macchinari e spazi comuni sono sempre più presenti. Diciamo che tutti dovremmo raccontare l’altra parte del settore, dalla tecnologia alla bellezza di creare qualcosa di unico”.
Quando fate i colloqui con i giovani, conoscono il ruolo di premontatore o fresatore?
“Manca la consapevolezza del ruolo. Il retaggio culturale è vecchio. Non si sa bene come sono le fabbriche oggi. Non si capisce che in realtà il premontatore o le orlatrici sono ruoli con professionalità importanti”.
Manca la comunicazione al distretto calzaturiero?
“A inizio luglio ci siamo confrontati con un imprenditore che è passato in tre anni da 20 a 60 dipendenti, cresce perché ha investito in immagine, oltre che servizi, e funziona. Dobbiamo tutti puntare sulle qualità e i pregi. Anche noi guidando gli imprenditori. Costruire il circuito virtuoso e togliere il pregiudizio”.
Retribuzione, orario di lavoro, welfare, stabilità con tempo indeterminato e crescita interna.
“Emerge la richiesta di non essere una matricola in fabbrica. Vale per gli adulti nel post Covid, è essenziale per i giovani”.
Maa chi si presenta per un colloquio di lavoro, chiede ma ‘cosa devo fare’?
“Mi assumo le mie responsabilità, in questo caso deve essere bravo anche chi cerca le figure. Non sono una di quelle che parla di pigrizia dei giovani. Il recruiter deve saper valorizzare la professione, deve raccontarla bene. E poi capire che la flessibilità oraria non è solo non voglia di lavorare o di andare a giocare a calcetto. È l’attenzione che è cresciuta per lo sviluppo della vita privata”.
È cambiato il modo di considerare il lavoro?
“Negli anni ’80 il lavoro era la vita per la maggior parte delle persone. Oggi è un mezzo per vivere la propria vita. Il datore di lavoro non lo comprende subito, noi cerchiamo di farlo riflettere. Ma serve tempo e ogni volta un approccio diverso”.
Un problema di tutti i settori?
“Il pregiudizio in genere c’è. Adecco in questo è impegnata in un programma che mira a far crescere le competenze in entrambi i lati del tavolo, titolare e dipendente. E lo facciamo con percorsi formativi gestiti direttamente”.
Ci sono poi le Academy?
“Una è partita per orlatrici nel fermano (nell’azienda di Lorenzo Totò, ndr). Un’altra è in partenza nel settore taglio e una per altre figure necessarie al settore calzaturiero tra fermano e maceratese. Un format che sta crescendo”.
Finalmente gli imprenditori si mettono in gioco anche nella formazione?
“E’ necessario, ci sono tante richieste e poche figure. Per questo creiamo nuove professionalità. Lo facciamo con le Academy, un luogo in cui lo stesso imprenditore investe perché non basta più chiedere la figura giusta, bisogna formarla. Sapendo che va ‘convinto’ anche il genitore, che per il figlio immagina un percorso differente. Ma, per esempio, chi lavora nel calzaturiero ha un mestiere in mano, parte da un livello e poi si specializza”.
Le scuole che ruolo giocano?
“Il lavoro di educazione da fare è grande. Stiamo lavorando con le scuole, tutti sappiamo che bisogna connettere formazione ed esigenze imprenditoriali. Aprire un dialogo non significa ‘ho bisogno di due persone, mandamele’. Bisogna entrare a scuola e poi insieme in azienda e far respirare un luogo. Lo stiamo facendo, a Fabriano abbiamo progetti avviati già con le Medie. Prima si comincia a parlare di consapevolezza e di caratteristiche e meglio è. Con le Medie, chiaramente, non parli di fabbrica, racconti i progetti del territorio, fai comprendere il potenziale, quello che li circonda”.
Un obiettivo?
“Sono nelle Marche dal 2008. Ho trovato una terra che offre grandi opportunità ma fatica sempre a raccontarsi, a valorizzare il tano che ha. Dobbiamo evidenziare il bello. Ci sono alcuni imprenditori che lo fanno, per lo più i grandi. Ben vengano, le griffe valorizzano le competenze dei nostri distretti ma devono essere proprio le Pmi a farsene carico. Così attireremo davvero i giovani dentro le aziende”.