FERMO – La gente muore, i sanitari si ammalano. Entrano in gioco gli avvocati. A più livelli e in ogni struttura. Chi con esposti, chi seguendo i primi clienti.
Dall’Inrca di Fermo è partito un esposto-istanza verso i vertici regionali e politici, oltre che al Procuratore regionale della Corte dei Conti in merito ai lavori effettuati “per chiedere chiarimenti”. L’avvocatessa che segue i medici dell’Inrca ha avanzato dubbi sulla quantità di Dpi e sull’assenza di personale specifico, dallo pneumologo all’infettivologo. Per questo “chiedo che venga inviato un ispettore sanitario al fine di verificare l’idoneità della struttura e del personale presente. Oltre a questo chiedo l’integrazione del materiale di sicurezza e la nomina di un responsabile di coordinamento sanitario con funzione specifica di direzione locale interna al presidio Inrca di Fermo”.
Ad Ascoli Piceno è stato presentato un esposto da parte dell’ordine dei medici in quanto “mancano mascherine, guanti e dispositivi di protezione individuale”. Esposto indirizzato alla Procura della Repubblica e al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, al ministro della salute Roberto Speranza e al presidente della Regione Marche Luca Ceriscioli. “Ci giungono numerosissime segnalazioni da parte di medici che, dall'inizio dell'epidemia di Covid 19 che imperversa in Italia, sono costretti a svolgere il proprio lavoro in assoluta carenza degli indispensabili dispositivi di protezione individuale - si legge nel documento -. Tutto ciò perdura ormai da tempo e non si rilevano ancora provvedimenti adeguati sia a livello nazionale che regionale. In questo modo viene messa a rischio la salute e l'incolumità personale dei medici, dei loro familiari e degli stessi pazienti”.
Infine, l’azione del singolo legale, quella dell’avvocato Andrea Agostini di Porto San Giorgio: “Ho ricevuto in questi giorni chiamate di familiari di persone decedute in ospedale causa covid-19. Dolore per la perdita di un affetto, rabbia per non aver potuto assistere il proprio caro e dargli commiato, ma anche lucida determinazione nel raccontare di chi entra in ospedale per un accertamento o un intervento quando all’improvviso la degenza si trasforma in altro, una malattia nuova e diversa che determina la morte. Morte “per o con” coronavirus, poco cambia. Non si tratta di fatalità o di tragico destino, ma dell’evidenza di protocolli di sicurezza non adeguati o che se adeguati non sono stati seguiti. Non è mia intenzione procedere querelando per omicidio colposo perché fermamente ritengo che medici, infermieri e operatori sanitari in genere siano eroi - cui auspico si riconoscano medaglie al valore civile per l’alto sacrificio profuso a tutela della salute pubblica - e al contempo vittime - il riconoscimento Inail della contrazione della malattia quale infortunio sul lavoro lo certifica -, di una pandemia che l’azienda sanitaria non ha saputo gestire.
A prescindere dal reato, vi sono infatti responsabilità che non possono essere sottaciute. Se il virus è stato contratto in ospedale è evidente che l’azienda sanitaria non ha adottato misure adeguate alla protezione dei pazienti. Il primo passo per i familiari sarà quello di chiedere ed acquisire la cartella clinica del defunto poi farò le valutazioni opportune, che ogni caso fa storia a sé” ribadisce l’avvocato chiedendo al Governo che “con legge speciale stanzi equi indennizzi per queste vittime di malasanità”.
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