di Raffaele Vitali
FERMO - Il tacco non è finito, parola di Marino Fabiani. Anche se i giovani stilisti la pensano diversamente (leggi). Forte della sua esperienza decennale l’imprenditore calzaturiero rimanda al mittente la previsione che vuole il mondo femminile indirizzato solo verso lo sportivo o la ciabattina. “La sneaker è ormai un prodotto che o ha una sua identità o non si vende. La qualità dietro un tacco invece resta competitiva”.
E quindi, avanti con il tacco?
“Il 90-100 è fuori mercato, va detto. Ma il tacco più comodo e curato resiste. Il 50 (ovvero cinque centimetri) è quello che va per la maggiore, anche se ora le donne cercano il 30. Perché sostituisce alla perfezione la sneakers che magari usa durante la giornata”.
Cosa rende il tacco fondamentale?
“Resta il pezzo che rende la scarpa elegante, colpisce l’occhio. Ma deve essere confortevole. Garantire una camminata comoda che dà eleganza. I tacchi si abbinano con i pantaloni al meglio e piacciono sempre più alle 40enni”.
Lei ha fatto del tacco 12 un marchio di fabbrica, difficile adeguarsi?
“La donna sta cercando sempre più il confort, è necessario”.
Conta più la comodità della sostenibilità sul mercato?
“Senza dubbio. È più chiacchiera il mondo del green. Che significa poi sostenibilità su un prodotto come questo, così di qualità? La strada è saper fare bene il proprio lavoro. Per me significa un tacco elegante senza esagerare nell’altezza. Trovare quel tacco che piace alla signora di 60 anni e alla figlia 20enne. Fondamentale è saper creare”.
46 anni nel mondo delle scarpe, riesce a stare al passo?
“Se ho preso il diploma di maestro calzaturiero poco tempo fa è proprio per la capacità di adattarmi. Saper fare una scarpa che piace a due generazioni diverse è fondamentale. Il mercato cambia rapidamente, se oggi il tacco alto è meno attrattivo, tra qualche stagione tornerà. Saper adattare la propria produzione è un plus, ma non è semplice farlo quando vuoi essere originale e devi andare oltre la scarpa liscia”.
Qualità e linea, due parole che hanno ancora un peso?
“Altrimenti lasciamo lavorare i computer. Il tacco cambia foma ma sempre deve esserci. Non credo proprio che stia scomparendo, lo ribadisco. Grazie alle mie figlie ho anche un tester interno”.
I clienti si fidano della prova al piede delle sue figlie?
“Quando a un cliente dicono ‘la porto io’, tutto cambia. Resto attrattivo proprio producendo dei modelli con tacco alto, con lavorazioni che costano singolarmente decine di euro al paio e resto attrattivo. Solo che dobbiamo fare tutto internamente, perché è difficile affidare queste creazioni a terzisti”.
È così che si resta competitivi anche in mercati complessi come Ucraina e Russia?
“Chi da quei paesi vuole comprare fa sacrifici. Arrivano in pullman a Milano o nelle Marche con la volontà di tornare con le scarpe più belle. Nella parte dell’Ucraina vino alla Polonia dove la vita procede, pur senza la gioia di un tempo. Ma almeno lì non ci sono le bombe. Non a caso in quella zona i negozi hanno incassi molto alti, perché a Karkiv, dove avevo diversi negozi, non c’è ormai quasi più nulla. È così che in attesa di vendere l’invernale, già ordinano l’estivo convinti che tutto andrà per il meglio”.