di Raffaele Vitali
PORTO SANT’ELPIDIO – Il liceo scientifico di Porto Sant’Elpidio indirizzo sportivo ha chiamato, Cesare Pancotto ha risposto. Ad accoglierlo il vicepreside Mario Andrenacci, che gli ha spiegato l’immenso mondo del Polo Urbani prima di lasciarlo ai colleghi sportivi.
Un incontro sui ‘giovani e lo sport’ affidato a un coach che ha pochi eguali. A dirlo è il curriculum che il professor Guerrieri usa come biglietto da visita: “1086 partite allenate, tra ai primi 4 coach per numero di vittorie, sette play off con cinque squadre differenti, due finali play off, cinque volte coach dell’Anno, premio reverberi 2005, medaglia d’oro ai Giochi del Mediterraneo, istruttore di allenatori di serie A”. Tutto questo come spunto per parlare “di sport e motivazioni”.
Si può studiare, giocare, vincere? Pancotto risponde subito con un esempio locale. Gabriele Pratesi, sangiorgese oggi con tre lauree che era considerato ‘un brutto anatroccolo’ e che invece ogni giorno si allenava con Robertvais Del Moro, l’uomo dell’atletica nelle Marche, abbinando grandi capacità mentali a quelle fisiche, “un atleta portato al sacrificio” precisa Del Moro.
Tanti i punti toccati dal coach in un’ora e mezzo di confronto in cui ha cercato di stimolare gli alunni, interagendo, percorrendo l’aula manga da un angolo all’altro, senza fermarsi mai “perché è una forma di rispetto parlare a tutti nello stesso modo”. Ad aiutarlo, alcune immagini scelte da Guerrieri per stimolare il coach e attirare l’attenzione degli alunni.
Lavoro quotidiano
“Ho allenato tanti giovani. Quando arrivano gli americani, la prima frase è ‘io sono qui per vincere’. Mandano subito un segnale, non dicono mai ‘mi sacrificherò per farlo’. Voler vincere è un modo di dire, la differenza è farlo diventare un modo di essere. Mennea con il suo ‘non basta il talento, ci vuole il lavoro quotidiano e il sacrificio’ lo ha spiegato benissimo”.
Il talento
“Ognuno di noi ne ha uno. C’è chi lo sviluppa e chi si accontenta. Anche il più bravo deve sviluppare le sue capacità. Chi nasce con talento 7 e arriva a 9 ha vinto. Chi parte da 9 e lì resta è uno che non si sacrifica”.
‘Amo sudare per ottenere ciò che amo’ dice Lebron James. “Sono stato due volte a Chicago per vedere la Nba e ho vissuto a bordo campo la finale del 1994. C’era una sala chiusa dedicata a Jordan, dove poteva entrare solo chi aveva voglia di competere e migliorarsi. Lui e Bryant, James e Kerr, insegnano che non si può ottenere una vittoria senza sacrificio. Che non significa dare tutto la domenica, ma da agosto a inizio preparazione, il lunedì con la ripresa degli allenamenti. E poi ognuno si impegna per contagiare l’altro nell’impegno”. Robertvais Del Moro entra nel concetto del lavoro, di preparazione: “Credo nel lavoro individuale, per dare poi all’allenatore un atleta con la A maiuscola. Serve la programmazione, anche pluriennale: il lavoro paga, il talento è un dono”.
Atletismo o tecnica, il dominio della fisicità
“Il punto chiave è valutare la trasformazione del giocatore. Un tempo si insegnava il passaggio a due mani dal petto, era tecnica. Tutti i giocatori stanno diventando super atleti, basta guardare i college americani e le giovanili di mezza Europa. Il basket ha mantenuto le regole, ha allargato il campo a 15x28 e ha accorciato i tempi dell’azione. Evoluzioni dettate dai giocatori. L’atletismo è una trasformazione, quello che penso io è che tra una decina di anni tornerà la tecnica, perché i super atleti saranno comuni. Il basket è uno sport dove bisogna creare un vantaggio. Quando tutti salteranno sopra il ferro, si recupererà la tecnica”.
L’innovatore Jordan
“Il giocatore modello è fondamentale. Jordan ha cambiato gli equilibri, difficile è stato far capire che lui era unico. Ma non lo erano i valori che esprimeva. Un giocatore che ha saputo sviluppare qualcosa in più oltre al proprio nome. Le idee vanno guidate, il mio compito è semplificare le idee del giocatore”.
Motivare i giovani
“La prima cosa è conquistare la stima di chi ho di fronte. Non posso attendere, devo andare io verso di loro. Gioco di squadra, ogni singolo migliora l’altro. Quindi, la prima cosa è renderli protagonisti in quanto atleti, senza presunzione”.
Scuola, cultura e sport
“Fare diventare lo sport cultura è fondamentale, qui lo fate. Ai giovani dico sempre che ‘hanno diritto di provare e sbagliare, ma non di commettere lo stesso errore’. L’errore infatti è un passaggio per il miglioramento. Se si pensa che essere americano e nero sia un vantaggio nello sport, si sbaglia. Viviamo in una società altamente competitiva, non tutti sono pronti? Ognuno ha in sé una forza da far emergere. La convinzione e la determinazione non manca a nessuno. La competitività si raggiunge con lo studio, con gli errori, con le correzioni: l’italiano con qualità non deve temere nessuno, si impone e scende in campo”.
La gestione del giocatore
“Personalità e rispetto. Non dobbiamo mai dimenticare che la base è l’uomo. Poi c’è la star. Cosa fa il coach per il giocatore che ha su di sé la massima pressione? In primis togliere il contorno tossico, deve costuire un contesto tecnico adeguato, c’è il confronto diretto legato al rispetto che lo fa diventare il condottiero della squadra. Quindi, equilibrio. Un esempio. Per la cena del sabato sera pre gara, stabilisco sempre un menu, che si può personalizzare su alcuni punti. Arriva un cameriere con una ‘cofana’ di gelato. Blocco il cameriere e gli spiego che si mangia il menu di gruppo, lui mi risponde che era per Darren Daye (uno dei migliori americani degli anni ’90 mai arrivato in Italia, ndr). Il giocatore si arrabbia, gli altri nove mi guardano. Mi avvicino a Darren e gli dico ‘finita la cena il gelato te lo offro io’. Ha capito che era in gioco la regola di squadra, è rimasto in silenzio. In fin dei conti il gelato lo avrebbe avuto comunque”.
Tecnica e strategia
“Miglioramento individuale e preparazione di gruppo. Non si dissociano, sono legate. Nella tattica, dopo aver studiato tutto dell’avversario, si ragiona sulla previsione dell’imprevedibile. Questo si analizza durante la settimana, per essere pronti all’inaspettato. Per reagire, serve la responsabilizzazione dell’atleta”
Sport e famiglia
“Ho una moglie e due figli. Sono stati la mia forza, hanno supportato il mio egoismo. Ai miei figli avevano dato un solo vincolo: prima di prendere la maturità, poi avrebbero potuto scegliere dove vivere. Ho cercato di educare i miei figli che girare 16 città sarebbe diventato un momento di cultura, di certo hanno imparato la geografia. Con grande sacrificio ci siamo riusciti”.
Cosa spinge una persona ad allenare
“Passione, amore, voglia di stare nel mondo dello sport. Ho cominciato perché volevo insegnare, quando giocavo mi segnavo tutto. Poi a un esame dalla laurea, ho lasciato per allenare, eravamo di fronte alle finali play off per salire in A2. Non ho più pensato all’università, ma solo ad allenare. Il tutto abbinandolo alla voglia di migliorarmi”.
Capacità di cambiare “
Oggi – ha ribadito agli studenti dello Scientifico - voi avete una educazione che vi resterà per sempre. La capacità nel mondo del lavoro è di decidere come vivere i cambiamenti. Lo sviluppo nasce dalla curiosità, dalla voglia di migliorare, di mettersi in gioco. Importante, per l’allenatore, è evitare la colpevolizzazione del giocatore. Se un giocatore commette un errore e lo martorizzi, lui si mette in protezione. Se gli fai vedere l’errore, apre per migliorarsi e lavorerà su quello che ha sbagliato”.