di Raffaele Vitali
MILANO – Il rettore dell’Università Politecnica Gian Luca Gregori ha conquistato il palco del Micam. Dalla Fashion Square, armato di un puntatore, con le sue slide ha portato le Marche nel cuore dell’economia milanese. Lo ascolta il ministro Giorgetti, riflettono i vertici del mondo imprenditoriale legato ad Assocalzaturifici, in testa il presidente Siro Badon, prendono appunti i presidenti di Cna, Confartigianato, Confindustria centro Adriatico e Camera di Commercio.
“Integrazione tra le istituzioni, verticale e orizzontale, insieme con i nuovi modelli di business sono le due strade da seguire” esordisce Gregori. Che certifica la realtà: “Questo settore è molto eterogeneo con griffe, conto lavorazione e Pmi: ognuna ha esigenze diverse. Poi ogni territorio deve affrontare l’evoluzione verso il mondo digitale”.
Gregori, quali sono le sfide reali?
“Le declino in alcune parole chiave. La prima è innovazione. Parliamo di robotica collaborativa che offre possibilità. Ma come fanno le Pmi a permettersela? Devono nascere piattaforme tecnologiche. I cobot, i robot collaborativi si son mostrati utili: penso alla lucidatura, caso reale di una azienda del lusso. E poi ci sono l’intelligenza artificiale, ma anche qui non può farla una azienda da sola. E invece algoritmi creano possibilità di azione, dal ragionamento sui coordinati con tanto di percentuale di successo al cambio d’abito digitale in pochi secondi. Infine, la realtà aumentata, che fa vedere al cliente come si realizza il prodotto, vero marketing”.
Seconda parola chiave?
Digitalizzazione. Qui siamo in ritardo. Un modello è il Fermo Tech. L’hub in cui si progettano prototipi in 3D, che arrivano al cliente per una prima verifica sull’interesse. Investimento che non è costoso se a livello di sistema. E poi l’additive manufacturing. Utile è Geostyle, che studia come cambiano gli stili nel momento preciso in cui si interroga il sistema. Anche qui, tutto affidato ad algoritmi”.
Internazionalizzazione, come migliorarla?
“Non basta puntare sul viaggio di merci e prodotti. È anche conoscenza ed esperienza, informazioni. Dobbiamo mandare i giovani all’estero e farli tornare. Un esempio è campus World della Politecnica, mandiamo 200 lavorati in giro per il mondo, 70% torna in Italia e porta competenza. Anche questa è internazionalizzazione, lo ribadisco”.
Tutti parlano di filiere, che ne pensa?
“Le aggregazioni non funzionano sul mercato, ma di certo si possono fare su formazione e tecnologia. È più semplice, bisogna ragionarci. Unendosi si arriva al T-winnig dataset, una tecnica predittiva che abbiamo sperimentato con un’azienda di borse. Algoritmi di comportamento che uniscono le informazioni. Non ci dicono cosa fare, ma inquadrano un percorso”.
Sostenibilità e competenze?
“La parte eco è importante ma molto teorica. Competenze tecniche sono determinanti, penso anche alla formazione secondaria, come gli Its”.
Ma secondo lei c’è una chance di ripresa?
“Certo, lavorando sull’integrazione, con ruoli distinti, ma strategia convergente. Servono cluster di imprese, ma come si fa parlare un comparto così eterogeneo? Non cerchiamo la soluzione unica, ma una coesione nelle azioni”.
Le spalle delle imprese sono solide?
“Inutile negare che serve il credito, ma per averlo le aziende hanno bisogno di garanzie altrimenti molte chiederanno. E questo non possiamo permettercelo in una fase in cui invece tante stanno tornando anche in Italia, sapendo però che il costo del lavoro resta un problema che non è più rinviabile”.
@raffaelevitali