FERMO - Se si vuole rompere la catena che vede parti o intere produzioni di aziende italiane all’estero, c’è una sola strada per l’imprenditore calzaturiero Giampietro Melchiorri, altrimenti sarebbe vanificata anche la buona idea.
RIFORME, NO INCENTIVI
“La politica del Governo, che ha a disposizione risorse mai viste negli ultimi decenni, deve rivedere la tassazione del costo del lavoro. Bisogna dare l’opportunità di rientro, ma in primis aiutare chi sta già qui. Se invece vogliamo ragionare sul reshoring in stile condono, con uno sconto e una contribuzione per riportare le produzioni in Italia, bisogna fare attenzione. Sarebbe un ‘drogare’ il mercato nel breve periodo, facendo poi ripiombare quella azienda in difficoltà nel giro di poco tempo a causa dei costi. E, tra l’altro, con aiuti solo per chi torna si creerebbe anche una concorrenza sleale interna, penalizzando chi da sempre lotta per il vero made in Italy, nonostante tasse e burocrazia”.
IL RITORNO VINCENTE
“Reshoring? È un treno che non possiamo perdere. C’è chi lo vede come un condono, chi come una possibilità, chi come una speranza. La cosa certa è che riportare delle produzioni in Italia sarebbe fondamentale in questo complicato momento”. Melchiorri, vicepresidente di Confindustria Centro Adriatico, è chiaro: “Per farlo serve un aiuto, da parte del Governo, alla competitività della produzione: il reshoring è un rientro possibile solo a fronte di una politica di investimenti sul cuneo fiscale, in modo da abbassare il costo del lavoro” precisa Melchiorri. “Altrimenti parliamo di nulla – aggiunge -. Un reshoring vincente si muove su due piani: il primo è quello per chi produce in Italia che deve avere un beneficio diretto e immediato, il secondo è per chi produce oggi all’estero che tornando, grazie ad azioni mirate, riduce il ‘gap’ tra estero e Bel paese”.
ALL’ESTERO NON E’ TUTTO ROSE E FIORI
Secondo Melchiorri non è neppure ben chiaro cosa significhi per un’azienda lavorare fuori dai confini: “Un esempio. Produrre all’estero ha un costo inferiore, ma richiede una serie di azioni non per tutti semplici da attuare. Serve una programmazione molto complessa, con ordini che vanno fatti un anno prima e non in base alla stagione, il che comporta un aumento dei rischi. Che succede se le vendite sono inferiori alle attese? E non solo, all’estero ogni ordine viene pagato in anticipo, non c’è il sistema di dilazioni italiane ed europee. E quindi, un conto è mettere a disposizione milioni di euro un anno prima, un altro pochi mesi prima”.