di Francesca Pasquali
MAGLIANO DI TENNA - Tre settimane e poi il baratro che potrebbe spalancarsi sotto i loro piedi. Sono spaventati, i lavoratori della Melania. Per il loro futuro e per quello delle loro famiglie.
Il 27 giugno scadrà la cassa integrazione a cui l’azienda della famiglia Gironacci, rilevata lo scorso ottobre dalle pescaresi F. & C Gruppo imprenditoriale d’investimenti e D’Amico Group Holding & Company, ha fatto ricorso. Sono scesi in strada, stamattina, sotto le bandiere della Filctem Cgil e della Femca Cisl.
Si sono ritrovati davanti alla bocciofila. Hanno attraversato la Faleriense, per raccogliersi davanti alla fabbrica. Giovani e chi, alla Melania, ci ha passato la vita. Tante donne. Perché la Melania era ed è soprattutto un’azienda di donne. Di mani piccole che si muovono svelte attorno alle tomaie. Che hanno fatto la storia di un Comune e di un territorio, portando nel mondo il noto marchio di calzature per bambino.
«Fino all’89 eravamo cento donne. Io sono quella più anziana. Sono qui dal ’78», dice un’operaia. «Dicono sempre che ci fanno ricominciare e non ricominciamo mai. Vogliamo sapere che fine faremo», spiega un’altra. «Lavoravamo tantissimo: 15mila paia al giorno. All’improvviso, è crollato tutto. Finire gli ultimi anni prima della pensione così non lo avrei mai pensato. La situazione non è bella. La vecchia proprietà ci ha delusi, ci poteva avvisare», dice una terza.
È passato anche il sindaco Pietro Cesetti. Pochi secondi «per portare la mia solidarietà ai dipendenti». «La Melania è un pezzo di storia. È triste vederla così. Trent’anni fa, Magliano di Tenna era il Comune più ricco dell'allora provincia di Ascoli Piceno grazie alla Melania. Che dava da vivere a decine di famiglie». E che, a parte qualche sporadica ripresa, ha stoppato la produzione a dicembre 2019.
Tre mesi prima era stato aperto il concordato con i fornitori, ritirato dalla nuova proprietà a marzo di quest’anno. “Un gesto – spiega Linda Bracalente della Filctem – che, all’inizio, aveva fatto ben sperare. Poi sono passate le settimane e i mesi e le macchine sono rimaste spente. Da quando è subentrata la nuova proprietà – aggiunge – non c’è stata alcun tipo di azione concreta che possa far interpretare una ripartenza dell’attività produttiva e soprattutto un segnale ai lavoratori che si trovano i fondi di previdenza integrativa versati e nessun pagamento al fondo sanitario».
Chiedono un piano industriale «che faccia percepire un’effettiva volontà di far riprendere il lavoro e rimettere in pari i fondi di previdenza integrativa non versati dal 2018», i lavoratori. Che, dopo la crisi del distretto, si sono trovati a fare i conti anche con il Covid. «Vittime – dice Cristiano Fiori della Femca – di una precarietà instabile che ha portato al blocco delle retribuzioni e senza prospettive di ripresa per un’azienda storica per il territorio, che ha dato molto lavoro e che potrebbe ancora darne molto».
redazione@laprovinciadifermo.com