FERMO – Il mondo della sanità territoriale si guarda allo specchio dopo i mesi di Covid e si auto carica, promuovendo il lavoro fatto e avviando la rivoluzione del sistema, a cominciare da quello dei medici di base.
Il dopo Covid, “ma attenzione che abbiamo numeri rassicuranti ma siamo ancora dentro il Coronavirus”, deve portare il sistema sanitario a riformarsi, cominciando proprio dalla base. Per Livini il lavoro da fare è tanto, per Paolo Misericordia, il referente della medicina generale, il lavoro fatto è già tanto.
“Dobbiamo accorciare le tappe che portano il cittadino-paziente fino alla visita. Oggi abbiamo pazienti davanti all’ambulatori che poi entrano per una prescrizione. Dopodiché si va al Cup per la prenotazione, poi la visita e poi il pagamento del ticket. Tutto questo non possiamo più permettercelo. Siamo pieni di poi che non possiamo permetterci. Questo percorso va abbreviato. Alcune funzioni vanno accorpate, chi prescrive deve poter prenotare, dobbiamo garantire la pressa in carico” spiega il direttore dell’Area Vasta riconoscendo il ruolo fondamentale al medico di base per l’ammalato, per la famiglia, per il sistema sanitario insieme con l’assistenza domiciliare.
Incassa il dottor Paolo Misericordia, che vede un futuro roseo: “Non c’è più il problema delle code in ambulatorio, vanno tutti per appuntamento o usano le mail. Non solo, stiamo avviando piattaforme per il teleconsulto. L’indirizzo è di andare verso riorganizzazione completa dell’attività degli ambulatori e della relazione medico-paziente. Non vogliamo perdere il contatto con l’assistito, ma stiamo evolvendo”. Come reagiranno gli utenti medi, anziani e spesso soli, lo si capirà già in autunno.
I mesi di lockdown hanno avuto il merito di avvicinare e compattare i vari componenti della sanità. Lo ribadisce anche Vittorio Scialè, il direttore del distretto, utilizzando come immagine Braveheart: “Ricordate i clan scozzesi che si ammazzavano, e che poi chiamati a raccolta contro la corona inglese, individuato il nemico, si sono alleati. Così noi: era un percorso obbligatorio e imprescindibile. E questo è avvenuto con la medicina generale. Non siamo mai stati così uniti e da qui dobbiamo proseguire”.
La risposta unitaria ha portato alla creazione delle prime Usca in Italia, “che se Pesaro ci avesse imitato non avrebbe avuto 35 medici infettati” ribadisce Misericordia, e poi al potenziamento dei tamponi in auto e alle risposte in emergenza.
“L’integrazione è l’unico modo per capire gli strumenti migliori. Se ci fosse stata la possibilità, anche se non nell’immeditata emergenza, di avere un rapporto di consulenza con il mondo ospedaliero avremmo gestito in maniera più efficace determinante situazioni. Ma il territorio ha fatto la sua parte” ribadisce la dottoressa Noemi Raffaelli affiancata anche dai colleghi Giovanni Olimpi e Vincenzo Landro.
r.vit.