FERMO – Avevano creato un vero sistema per far sposare done italiane e uomini indiani. Matrimoni combinati con un doppio fine: guadagnare soldi le donne, ottenere l’ingresso in Italia, prima, e la cittadinanza, poi, gli indiani.
Un sistema che però, per evitare crepe, utilizzava anche la violenza. La Procura di fermo accese un faro e aprì una lunga e complicata indagine. Che è arrivata ora all’epilogo con la sentenza di responsabilità penale “dei soggetti stranieri coinvolti, due dei quali sono stati condannati, in primo grado, uno alla pena di poco più di sette anni mentre il secondo a quella di sei anni e mezzo” spiega la Polizia di fermo che ha svolto gran parte delle indagini.
Ora la giustizia farà il suo corso, tra appelli ed eventuale Cassazione, ma l’impianto accusatorio formato dalle prove acquisite dagli atti amministrativi del personale dell’Ufficio Immigrazione della Polizia di Stato e dalle indagini di polizia giudiziaria condotte dalla Procura della Repubblica ha delineato l’esistenza di una consorteria che si era radicata anche nel Fermano.
Gli atti amministrativi hanno permesso di rilevare che non c’era in realtà convivenza tra gli sposi, elemento che ha portato al rigetto da parte del questore del permesso di soggiorno. Da lì, le indagini hanno portato all’evidenza di un giro economico dietro i matrimoni e la scoperta di un’organizzazione dedita alla commissione degli illeciti.
La regia era affidata a un ‘leader’ indiano, per la Polizia “rispettato e temuto”. Attorno a lui c’era un gruppo di italiani incaricato, dietro lauto compenso, di contattare donne giovani con difficoltà economiche o attratte da un facile introito senza alcuna spesa né prestazione personale che si rendessero disponibili ad effettuare uno o più viaggi nel Paese straniero per una fugace conoscenza del novello sposo designato e per la celebrazione del matrimonio.
“Cinquemila euro di compenso puliti, senza spese di viaggio e soggiorno per qualche parola durante la celebrazione ed una firma su qualche atto, soldi spesso dati in anticipo rispetto alla cerimonia per la ovvia diffidenza della donna che non sempre ha onorato il contratto informale” prosegue il questore.
In alcuni casi la promessa sposa dopo l’incasso ha cambiato idea, si è resa indisponibile a mantenere l’accordo e si è dileguata. Questo ha comprato che il mediatore italiano, fallita la missione, venisse punito sia per rientrare in possesso del denaro scomparso sia per dare un esempio.
“Così – prosegue la Polizia - il responsabile dell’errore è stato raggiunto, fatto salire in auto circondato da complici stranieri del vertice dell’organizzazione, portato in un locale sconosciuto nel quale sono state spente le luci per accrescere il senso di impotenza della vittima che è stata minacciata di morte e picchiata da più persone straniere con calci e pugni e con armi improprie quali una pinza a pappagallo per idraulici, provocando gravi lesioni e la perdita di denti fino ad ottenere le firme della vittima su documenti con i quali si era impegnato a restituire le somme perse ed un ulteriore congruo ristoro per il danno subìto dai soggetti traditi”.
Così, i reati sono aumentati: concorso nel reato di direzione ed organizzazione di attività finalizzate all’immigrazione clandestina, concorso in estorsione aggravata per aver agito con violenza e minaccia per ottenere il ristoro del danno economico subìto, sequestro di persona, lesioni aggravate e violenza privata. Il primo grado si è concluso con la condanna dei primi due elementi al vertice dell’organizzazione.