di Raffaele Vitali
FERMO - “Chi se non noi?”. Tipicità, con il suo direttore Angelo Serri, vuole essere il medium tra piccole imprese e grandi gruppi, per ribadire il ruolo sociale dell’azienda. E lo fa al meglio grazie a Marco Moreschi, direttore del Banco Marchigiano, che ha saputo allargare la visione della piccola regione, aprendosi prima al Forum Ambrosetti, e rilanciando oggi con un Glocal Forum a Fermo che ha una mission: “Noi vogliamo creare una contaminazione positiva sul territorio. Parlare di ri-evoluzione significa non andare contro nessuno, noi andiamo verso. La rivoluzione prevede un cambiamento radicale, noi vogliamo aiutare le 140mila imprese marchigiane, di cui 130 mila con meno di dieci addetti. Rappresentano un popolo intelligente, che deve evolversi. Non possiamo lavorare per lo status quo”.
Esordisce Moreschi, che si muove nel doppio ruolo di banchiere e di moderatore. Lo ascoltano imprenditori e tecnici del settore, ma anche la politica, con il sindaco Paolo Calcinaro e l’assessore regionale Guido Castelli, arrivato insieme con il presidente della Camera di Commercio, Gino Sabatini, dopo un travagliato viaggio in auto.
“Tra le iatture che abbiamo, dalla pandemia alla speculazione finanziaria fino alla guerra, c’è anche l’A14. E così, si inizia senza alcuni ospiti o in ritardo perché bloccati in coda. Ma siamo qui, in presenza: un segno di rilancio, di rinascita, di voglia di ripresa. Con il Governo che proprio per Tipicità ha tolto lo stato di emergenza” sottolinea il sindaco Paolo Calcinaro strappando un sorriso alla platea.
Inizia così un percorso che ha nella relazione di Gabriele Magrini Alunno, direttore della Banca d’Italia, che vuole essere un viaggio tra capitali esterni, filiere crescita aziendale”. La fotografia che scatta però Magrini è di quelle amare, nonostante le parole di speranza che prova ad abbinare ai freddi numeri.
Ma nulla farà dimenticare l’obiettivo di Moreschi: “Capire i problemi, ascoltarli e attivare dei ragionamenti insieme con le imprese per individuare interventi a loro supporto e aprire dei veri tavoli di lavoro per arrivare a proposte condivise ispirate da coloro che sono in prima linea ogni giorno nell’economia, nell’industria e nell’artigianato territoriale”.
Il primo dato è che è dal 2007 che le Marche non vivono un anno di espansione.” Tutto da capire ancora come impatteranno guerra, caro energia e fine pandemia. Di certo, le Marche hanno avuto una discesa più rapida e una ripresa più lenta perché le imprese sono fragili. Infatti, nel 2020, con il lockdown abbiamo perso due punti in più sull’Italia” spiega Magrini.
I motivi sono vari: “Uno è che le piccole imprese, soprattutto se con basso capitale di rischio, fanno più difficoltà a intercettare la ripresa, a diversificare, a investire in ricerca e a ottenere finanziamenti dalle banche. Abbiamo calcolato due anni di ritardo rispetto ad altri paesi europei”. E due anni sono un gap enorme in una economia mondiale.
Altro motivo di fatica è il mercato interno frammentato. “Poco presenti su prodotti di largo consumo. Tipicità deve e può fare di più, proprio per il suo nome: in economia dire che un prodotto è unico è importante. Se un prodotto è caratterizzato, anche se ha tre dipendenti l’impresa è solida perché particolare”.
Ma nonostante questo, nel 2021 i numeri sono stati buoni, ma è una crescita ‘drogata’: “La ricostruzione post sisma che ci ha dato una spinta in più rispetto al resto d’Italia. quindi chiuderemo il 2021 con un dato uguale o forse superiore dell’Italia. ma non per tutti”.
Anche se c’è chi corre: meccanica, mobile, plastica e alimentare. “L’export funziona, molto lontano dall’Europa e alla fine per le Marche la Russia vale meno del 3%. Quindi abbiamo un buon export con pochi rischi”.
Ci sono comparti che calano: “Prendiamo gli ultimi cinque anni: la moda è passata dal 21% al 16% di peso per l’export regionale. Non è più il primo settore, sta perdendo sui mercati internazionali; impianti e apparecchiature invece crescono dal 16% al 20% nel 2021. Se lo ampliamo, inserendo la meccanica con i metalli, arriviamo al 32%. Sappiamo lavorare bene nelle trasformazioni che ci rende un riferimento internazionale”.
La meccanica poi è un unicum: “Noi non siamo una fabbrica di automobili, molto poco catena di montaggio: qui nascono impianti, fatti su misura, come un vestito, manutenzioni a distanza. Questo ci fa essere un riferimento mondiale con 100 dipendenti e non mille. Coniughiamo impatto internazionale con dimensione ridotta tipica delle Marche”.
Si può insomma crescere, ma serve innovazione. Che ha tante sfaccettature, come ricorda Moreschi. Che stimola così il rettore Gregori che con il dg di Banco Marchigiano condivide un pallino: le filiere.
“Dobbiamo uscire dalla closed innovation, che nasce e muore all’interno. Non è più possibile, a ameno che non hai dentro dei premi Nobel. Quindi, ecco la open innovation. Solo che le piccole innovano, ma non la trovi sui bilanci. L’impresa innova e la filiera incassa. Bisogna creare un ecosistema vincente per tutti”. Di certo, cercando di muoversi dentro una liaison, che non è una fusione, ma come insegna la grammatica e ricorda Moreschi l’unione di parole senza perdita d’identità.
Per farlo, vanno intercettate risorse, via Pnrr, e stimolate le banche nel conceder un credito, visto che le Marche hanno presentato, anche da questo punto di vista, ottime performance. “Abbiamo ridotto i debiti, ma non abbiamo investito molto. Cosa che avevamo fatto nel 2020” conclude Magrini mandano un messaggio al sistema, tutto, che se ci si muove insieme crescere è possibile.
@raffaelevitali