Archiviare senza alcun reale motivo l'opportunità di ricorrere a uno strumento come lo smart working appartiene a una visione vecchia e miope, troppo legata al superficiale stereotipo dove il dipendente pubblico è irrimediabilmente sinonimo di fannullone.
La verità è ben altra. Soprattutto se pensiamo a una Pubblica amministrazione che si riappropria pienamente del suo ruolo cruciale e strategico, ritornando, o forse diventando più di quanto lo sia oggi, motore di crescita e rilancio con servizi efficienti a favore di cittadini e imprese.
L'emergenza sanitaria vissuta nel corso dell'ultimo anno e mezzo, che ha obbligato sia il settore pubblico che quello privato a ricorrere a questo strumento organizzativo, ha dimostrato chiaramente come il lavoro da remoto non solo non sia più un tabù, vincendo resistenze che altri Paesi europei hanno superato da tempo, ma rappresenti addirittura una modalità capace di aumentare la produttività e contenere i costi fissi.
Non a caso i primi a coglierne le potenzialità sono stati proprio quei settori privati tradizionalmente più restii all'impiego del lavoro agile come le piccole e medie imprese, le quali non solo hanno sostenuto significativi investimenti per adeguare le proprie dotazioni tecnologiche, ma tornano ora a chiedere con più convinzione al governo nazionale maggiori investimenti nelle infrastrutture digitali e un coraggioso salto di qualità per colmare in fretta i ritardi che appesantiscono la modernizzazione della Pubblica amministrazione per porre le basi di un'autentica semplificazione e dematerializzazione dei processi amministrativi.
Modernizzazione a cui non è estranea, appunto, l'organizzazione del lavoro. Anzi, ne è il presupposto. Sono sempre di più, infatti, gli studi e le indagini autorevoli che confermano la fattibilità dell'impiego da remoto. A trarne vantaggio non sono solo i dipendenti che raggiungono un migliore e più gratificante equilibrio tra vita privata e professionale, ma le stesse pubbliche amministrazioni, alle quali il ricorso allo smart working consente di razionalizzarel'utilizzo delle risorse e aumentare la produttività, tutto a vantaggio della qualità delle prestazioni offerte.
Non vanno poi dimenticati due ulteriori aspetti positivi. Il primo, a mio modo di vedere decisivo, è quello che vede in un'ampia trasformazione digitale della Pubblica amministrazione la possibilità di formare il personale già in organico e attrarre giovani talenti motivati, rispondendo così concretamente alla necessità di introdurre nel pubblico nuove competenze e professionalità di alto livello.
Il secondo, ma non secondario, è l'impatto ambientale che queste nuove modalità organizzative potrebbero avere garantendo risparmi nei consumi elettrici all'interno degli edifici pubblici e una significativa riduzione nelle emissioni di Co2 grazie alla diminuzione del traffico legato agli spostamenti per raggiungere il luogo di lavoro.
Dunque, anziché attardarci in inutili e anacronistiche logiche che rischiano di aggiungere zavorra a un'economia italiana che, soprattutto con le risorse inserite nel Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, ha di fronte a sé l'occasione di riformare a fondo il Paese, ci si metta subito al lavoro per fare di un provvedimento emerso in un contesto straordinario come quello pandemico la leva di quella rivoluzione organizzativa e culturale di cui la Pubblica amministrazione ha urgente bisogno.
Maurizio Mangialardi, capogruppo assembleare del Partito Democratico