di Raffaele Vitali
PORTO SANT’ELPIDIO – Al posto di un tagliolino con gamberi e zucchine in mano ha una cassetta piena di cavoli. Stefano Alessandrini, con la moglie chef Roberta Mancini, apre le porte del suo orto, mezzo ettaro di terra a pochi chilometri dal lungomare di Porto Sant’Elpidio, dove si trova la Trattoria Trentasette.
È una nuova sfida quella che molti ristoratori hanno intrapreso: creare un orto a uso e consumo del ristorante, oltre che di casa. “Quello che ci ha spinto a indossare stivali e guanti – racconta Alessandrini – è stato in realtà un motivo familiare, di cuore. Questo era il terreno del padre di mia moglie, lui ci teneva tantissimo. Dopo un periodo di abbandono abbiamo deciso di dargli una nuova vita”.
Ma quando non conosci la materia, la prima cosa da fare è chiedere a chi sa: “E così – prosegue il ristoratore – ho chiamato Roberto Cerquozzi, che gestisce un’impresa agricola. Volevo affidarglielo. Ma lui ci ha convinto che avremmo potuto farlo diventare il nostro orto, visto che non era un appezzamento troppo grande”.
Una prima fila di pomodori, poi una seconda e arrivano le melanzane, seguite dalle zucchine. “Ma l’estate finisce e quindi bisogna seguire la natura, anche se poi chi si siede a tavola spera di trovare tutto. Quindi – sottolinea candidamente Alessandrini – è difficile immaginare un ristorante che viva grazie al proprio orto”. E infatti per Roberta in cucina ci sono sempre le migliori verdure garantite da commercianti locali. “Alla fine è quasi un antistress. Capita di usare qualcosa, ma è più un modo per vivere uno spazio e provare a immaginare un domani in cui questi pochi metri di coltura diventeranno mezzo ettaro di produzione”.
Finita l’estate, sono arrivate le verdure invernali: “Broccoli, verza e carciofi. E tanto cavolo nero, che però non è tanto facile da abbinare nei piatti, anzi è proprio complicato” sorride Roberta mentre taglia un cavolo pronto per finire in tavola, magari come chips vicino a un pesce dal sapore forte.
La differenza tra un prodotto coltivato direttamente e uno comprato si sente, soprattutto con i pomodori: “Questa estate li abbiamo provati in un paio di piatti con gli scampi. Un cliente è venuto per giorni e mangiava solo quel piatto, amava i nostri pomodori”. E si spera l’abbinamento.
Non è un percorso semplice quello nel campo, loro sono aiutati da Ventus, un 36enne che si sa muovere tra cucina e zappa e che aveva già lavorato con Alessandrini quando ancora il mare non si era mangiato la spiaggia togliendo ogni ombrellone all’imprenditore. Ventus ama la terra e l’orto cresce, quello della chef Roberta e anche quello personale in cui ha piantato prodotti tipici della Nigeria che diventano la base per i suoi piatti a casa.
“Non mi sento un agricoltore, senza Ventus saremmo in difficoltà. Vengo, raccolgo i frutti, controllo, ma non sono certo io che concimo o sono in grado di far crescere i pomodori. A meno che non abbia un ruolo la passione che ci mettiamo in ogni cosa” riprende Alessandrini mentre carica l’ennesima cassetta. Sarà anche piccolo, ma la produzione c’è ed è tutta rigorosamente senza chimica. “Nessuno pensi che avere un orto sia un risparmio. Tra lavoro, fatica e quantità parliamo davvero di soddisfazione più che di vantaggio”.
Anche perché l’orto ha regole tutte sue: “Il che significa che un giorno ci ritroviamo con tre cassette di broccoli e due di cavolo nero e un altro nulla. Che fare? mica possiamo fare piatti con lo stesso sapore. L’evoluzione forse ci sarà con il sottovuoto per conservare le verdure, ma le proprietà, i profumi e i sapori di prodotti freschi al momento non sono conservabili. Però, il gusto anche di un piatto con qualcosa di proprio è speciale” prosegue.
Prima di Alessandrini, è arrivato Biagiola, chef in odore di stella da anni con il suo ‘Signore te ne ringrazi’ ti Montecosaro. È lui il ‘re’ dell’orto, ma soprattutto delle erbe spontanee e dei fiori raccolti tra prati e scarpate. Ma anche il sangiorgese Nikita Sergeev e il suo ‘Orto dell’Arcade’. Luoghi tra il relax e la ricerca, angoli di colture in cui sperimentare e valorizzare quello che la natura ci dà, che poi è il must di Slow Food e di una cucina sempre più a chilometro zero.
“Diventerà parte di Trattoria Trentasette? Sarebbe bello, ma poi se il cliente vuole la zucchina a Natale tu devi dargliela, perché la filosofia è bella ma le bollette a fine mese si pagano con gli ordini. E quindi, equilibrio, quello che cerchiamo nei piatti torna anche nella gestione dell’attività: un po’ di cavolo nero e verza, ma zucchine e melanzane non possono mancare”.