di Raffaele Vitali
PORTO SAN GIORGIO – Un novello Ulisse che parla greco e inglese si aggira per il Fermano. Entra ed esce dai pub decantando i versi omerici e conquistando persone tanto diverse tra loro. È Cesare Catà, il filoso narratore sangiorgese che del teatro ha fatto una professione.
Catà, cosa è per lei l’Odissea?
“Una impesa epica”.
In che senso?
“Volevamo rifarla, partendo anche dal mio libro appena uscito che racconta l’Odissea ai giorni nostri, con il testo greco originale in pagina. Solo che abbiamo deciso, insieme a due compagni di viaggio, di riportarla al suo essere originale, un racconto a tappe. E l’abbiamo fatto nei pub”.
23 canti in altrettanti locali?
“Erano un po’ troppi e così abbiamo scelto una versione in tredici canti e pub”.
Dove ha recitato?
“Locali di tre province. Siamo partiti dal Meletti e poi via di locale in locale”.
Quale pubblico?
“Quando decidi di non fermarti per tredici giorni consecutivi accetti la sfida. Perché ci sono i lunedì e i martedì, non solo due fine settimana. Sempre pieno. Al Meletti trecento persone, in altri posti 50. Abbiamo portato Ulisse anche dentro l’ippodromo di Montegiorgio. A Smerillo, di domenica mattina, 80 persone”.
C’è chi ha deciso di seguire Ulisse canto dopo canto?
“Abbiamo creato una card, per capire. In realtà in pochi hanno scelto di muoversi da un pub all’altro. Ma lo sapevamo. È stato anche il bello, avere un pubblico sempre diverso e molto vario. Più donne, in alcuni locali fino all’80%. A Macerata, addirittura, per il canto dedicato a Calipso su 200 ci saranno stati cinque uomini”.
Spettacolo con un format ben definito?
“Prologo in greco, recitato a memoriae, poi tutto in italiano. Ad accompagnarmi due musicisti che hanno creato musiche originali: Andrea Gasparrini e Brando Alessandrini. Chitarra, flauto greco e ogni tano un mio colpo di clavicembalo”.
Come è nata la rete dei locali?
“Siamo partiti con un annuncio su Facebook. Alcuni locali ci hanno chiamato, altri mi conoscevano anche come avventore. I due musicisti hanno portato con sé anche la conoscenza grafica e di organizzatore di eventi, visto che Andrea lavora con la Treccani”.
Ogni sera uno spettacolo, come ha fatto?
“Una sfida anche per me. Ogni sera mi ero preparato uno schema (sul Tavio un quadernino pieni di appunti scritti piccoli piccoli, ndr): Per ogni canto quattro punti che poi sviluppavo. Tanto greco, questo sì, che mi ha richiesto un vero sforzo memonico”.
Teatro e libro, l’Odissea è la sua passione?
“Ma guarda, ‘Una zattera per Itaca’ è nato da solo, non legato al percorso letterario. Un libro particolare, come la scelta di non rappresentare il viaggio verso Itaca in un solo spettacolo. Che è una cosa normale. Di certo il fatto che il libro abbia venduto molto bene a Roma e Milano, è edito da Ponte alle Grazie, mi ha dato carica”.
Più che una performance, il suo sembra un esperimento sociale e letterario?
“Abbiamo voluto ricreare l’Odissea, il suo pre essere scritto. Funzionava così, una narrazione sulle vicende di Ulisse con chitarra e flauto. L’approdo è sempre Itaca, ma la scelta di raccontarla divisa non è casuale. Ogni storia è a sé, dai ciclopi alle sirene. ‘Quello che il pubblico chiede’ era uno dei messaggi dell’Odissea nel suo prologo. E noi abbiamo fatto questo, narrando episodi singoli, con un finale ‘scritto’ che è il ritorno a casa”.
Soddisfatto il pubblico?
“Il feedback, l’energia di ritorno è stata forte”.
E ora quando riparte Ulisse?
“Rifaremo l’Odissea tutti gli anni di novembre. Cambierà qualche locale, magari un’attrice e un musicista diverso. Vogliamo farlo con una modalità predigitale, fondato sulla memoria”.
C’è altro oltre l’Odissea da narrare in questo modo?
“Quella di Ulisse è una storia nostra, lunga, come una serie tv sempre connessa. Ma in passato l’ho già fatto con le leggende dei monti Sibillini e Shakespeare. Mitologia e fiabe sono due modi di narrazione dilungata. Lo facevano aedi e rapsodi in Grecia, quanto altre figure nel medioevo e in Irlanda””.
Ma il libro è il filo conduttore?
“Lo definirei un supporto esterno. Il mio è un tentativo di leggere l’Odissea verso per verso nei suoi significati filosofici, rapportandolo al contemporaneo. Quando lascia Calipso, è come lasciarsi dopo tanto tempo perché è un’amica. La famosa friendzone già esisteva. Diciamo che il mio è un testo che lo studioso classico non digerirà, ma che in realtà può funzionare. Credo che sia anche un modo per avvicinare l’opera classica a chi non la leggerebbe. L’Odissea non è un poema solo serioso, c’era anche del comico interno. Non è qualcosa da accademici, da dipartimento da Lettere Classiche, che ha una sua impostazione necessaria, ma che si può cambiare. Come fanno molti studiosi soprattutto americani”.
Spettacolo gratuito, ma i bar hanno funzionato?
“Per loro un sistema interessante, che ha promosso la scelta di finanziare la tournée. Tanti prenotavano, ma c’erano anche clienti che si trovavano all’improvviso davanti a Ulisse. Siamo passati dal Meletti a bar da battaglia. È una cosa che volevamo, come abbiamo sperimentato in spiaggia, con la gente attratta da Shakespeare in costume. La libertà di entrare e uscire è un classico del teatro da non dimenticare. Un qualcosa di molto poco borghese”.
In futuro?
“Serate nei locali senza dubbio. Il novembre sarà sempre il mese de ‘Il mare colore del vino’. Un colore che non è mai azzurro o verde, ma ha sempre un colore vinoso. Uno sguardo poetico”.
Ulisse ha così terminato il suo viaggio, ma non porta dimenticare le tante tappe: Ascoli Piceno, Montegiorgio, Porto San Giorgio, Macerata, Sarnano, Loro Piceno, Smerillo, Ripe San Ginesio, Appignano, Urbisaglia e Poto Recanati.