FERMO – Almeno una volta nella loro vita da adolescenti, il 50% dei ragazzi, in maggioranza femmine, pensa al suicidio.
I dati che emergono dallo studio condotto dal Gruppo multidisciplinare di ricerca mutamenti sociali, valutazione e metodi (Musa) dell'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma (Cnr-Irpps) sono allarmanti.
Un approccio di ricerca di tipo psicosociale, il lavoro ha ribaltato i cliché e dimostrato che i disagi psicologici che alimentano i pensieri suicidari "non costituiscono l'origine del problema, rintracciata, invece, in particolari dinamiche di interazione sociale e in specifiche caratteristiche sociodemografiche".
Secondo i ricercatori anche l'abuso di alcol e l'uso di sostanze psicotrope risultano "secondari". Lo studio, pubblicato sulla rivista 'Scientific Reports' di 'Nature', fornisce risultati utili alla comprensione del problema e alla progettazione di interventi mirati a sostegno del benessere giovanile.
L’indagine è stata condotta a cavallo tra il 2021 e il 2022 attraverso la tecnica Capi (Computer Assisted Personal Interview) su un campione rappresentativo di 4.288 adolescenti italiani delle scuole pubbliche secondarie di secondo grado.
"Un primo dato emerso è che il 44,9% degli adolescenti italiani ha sperimentato almeno una volta il pensiero suicida (23,2%, una volta; 21,7% più di una volta), che riguarda pensieri di pianificazione del suicidio, desideri e preoccupazioni riguardo alla morte. I risultati - evidenziano gli scienziati - hanno confermato l'esistenza di un'associazione diretta tra il malessere psicologico e il pensiero suicida, chiarendo però come sia determinato dal deterioramento dell'interazione umana”.
Il pensiero suicida caratterizza maggiormente le ragazze (6 su 10 contro 4 ragazzi su 10), chi vive nelle are settentrionali del Paese, chi ha una cittadinanza straniera, chi frequenta gli istituti tecnici, i non credenti e chi ha un background familiare economico basso.
Secondo lo studio “i pensieri suicidi scaturiscono da una compromissione della salute mentale caratterizzata da ansia, depressione, bassa autostima, felicità e soddisfazione, alta intensità di emozioni primarie negative e un atteggiamento negativo verso il futuro".
Gli aspetti appena elencati sono, peer il Cnrr, "sintomi della presenza di una stretta e insoddisfacente rete amicale, di relazioni qualitativamente scarse con pari e genitori, di problemi di rendimento scolastico, iperconnessione, insoddisfazione corporea e coinvolgimento come vittime nel bullismo e nel cyberbullismo".
Da qui la riflessione sociologica: “Il fatto che le ragazze maturino pensieri suicidi più dei loro coetanei è motivato dall'influenza di norme sociali di genere e dalla pressione di modelli estetici che compromettono la soddisfazione corporea, l'autostima e il piano delle emozioni. La maggiore frequenza del pensiero suicida tra gli adolescenti delle regioni settentrionali, gli intervistati stranieri e i non credenti, testimonia invece il ruolo cruciale dell'interazione sociale, che in Italia tende a essere più forte nelle regioni del Centro-Sud rispetto al Nord, mentre il rischio più elevato di comportamenti suicidari negli adolescenti con un background migratorio è spiegato non solo dalle sfide di acculturazione ma anche spesso dalla presenza di condizioni socioeconomiche svantaggiate, che costituiscono parimenti un limite all'integrazione”.
C’è anche un fattore famiglia: “Relazioni sociali più rarefatte o formali, o percepite di minore intensità qualitativa, sono invece fattori determinanti il pensiero suicida come nel caso degli studenti liceali, che a parte nutrire più alte aspettative di rendimento scolastico stanno iniziando a sperimentare, ormai anche in Italia, modelli relazionali simili a quelli del Nord Europa, con genitori con un elevato status culturale meno presenti e che delegano maggiormente il loro accudimento a professionisti del settore".
La conclusione è chiara: “Bisogna ridimensionare precedenti risultati scientifici, fattori solitamente ritenuti influenti, come la tolleranza all'uso dell'alcol e delle sostanze psicotrope in generale, sono di fatto solo secondari nella spiegazione del fenomeno" avvertono i ricercatori che affidano un ruolo importante alla scuola,
“Interventi più esperti dovrebbero essere attivati urgentemente a partire dalle scuole primarie, con il coinvolgimento di insegnanti e genitori, in materia di iperconnessione, devianza e violenza relazionale, educazione emotiva, autostima e decostruzione di simbolismi e condizionamenti sociali che stereotipizzano e gerarchizzano l'ambiente vissuto, a partire dalle asimmetrie di genere, deteriorando sostanzialmente la qualità di vita dei giovani" concludono i ricercatori.