di Raffaele Vitali
PESARO – “L’impossibile non esiste”. Meo Sacchetti è già entrato in palestra. Lui è uno dei ‘grandi vecchi’ del basket, uno di quei personaggi che ha fame di campo. L’altro lo incontrerà proprio domenica, a Napoli, Cesare Pancotto che oggi fa l’assistente ma solo pochi mesi fa ha salvato Napoli sostituendo coach Buscaglia. Esattamente quello che deve fare oggi Sacchetti.
Il primo pensiero di Ario Costa, presidente della Carpegna Prosciutto, è però per l’esonerato: “Ha vinto 5 partite, ha fatto un buon lavoro. Ma oggi apriamo una nuova pagina, bianca, da scrivere insieme a Romeo Sacchetti, una grande persona”.
Franco Arceci, presidente del Consorzio finito nel mirino dei tifosi durante la partita persa, evita ogni polemica: “Dobbiamo essere ottimisti, perché lo sport è fatto anche di momenti difficili e insieme bisogna superarli. In questo momento la squadra non ha buoni risultati, ma abbiamo tutto il girone di ritorno in cui vogliamo fare molto meglio. L’esperienza di Sacchetti, alla sua conoscenza del basket ci aiuteranno a superare un momento non facile”.
Una bella patata bollente per l’ex coach della Nazionale, uno che ama far correre i suoi giocatori e che quindi dovrà faticare non poco con il roster a disposizione. “Ho ricevuto la chiamata di Costa e il giorno dopo alle 6 del mattino ero già in auto. Ho firmato e ho guidato il primo allenamento. So bene che la situazione non è facile, considerando anche l’infortunio di Bamforth”.
Questo è il basket: “Ho accettato perché Pesaro è storicamente un’avversaria sulla mia strada, ma soprattutto una piazza importante. Non ho allenato squadre poi così blasonate, forse Fortitudo e Cantù. Qui vorrei fare una cosa diversa: l’allenatore vince se i giocatori sono bravi, il mio compito è far rendere al meglio ogni uomo”.Di una cosa è certo: “Non esistono squadre con giocatori mediocri, ma squadre che valorizzano il giocatore che ha come scopo il valorizzarsi”. Sacchetti ha i capelli grigi e non li nasconde con le parole, citando il suo lungo passato che l’ha portato ad allenare in ogni categoria.
“Sono qui per dare la giusta mentalità al giocatore che deve capire che può migliorarsi. L’ho provato sulla mia pelle, l’ho visto con Pippo Ricci che dall’A2 ho portato in A e oggi vince scudetti. Sono i giocatori che fanno bravi gli allenatori, ma sono i coach che sorridono se li fanno diventare più bravi”. Il suo è un basket frizzante, lo riconosce.
E c’è una ragione: “A me piace vedere la pallacanestro, sono uno che ama il 90 a 89 piuttosto che il 50 a 45. Lo scopo del gioco è segnare, il canestro è la cosa più importante. Un bambino che entra capisce di più in passaggio di Teodosic che le difese. Poi a volte riesco a farla, altre volte no. Ma vi assicuro che chi verrà al palazzo non si annoierà”.
È convinto che ci siano delle qualità nascoste anche agli stessi atleti della Carpegna Prosciutto. “Tambone e Mazzola possono dare molto di più: hanno capacità, devono togliersi freni perché già hanno dimostrato in passato di essere importanti. Capita che non si segni, ma devono provarci. Ricordo sempre Diener, uno che tirava sei bombe in un quarto. Quando arrivava nel periodo non faceva 2/8 ma era il suo mestiere. Bisogna dare la possibilità ai giocatori di farsi valere”.
A Napoli non ci sarà Bamforth: “Stiamo seguendo un giocatore, difficilmente lo avremo pronto per domenica. Ma questa può essere anche l’occasione per gli altri per far vedere quello che sanno fare. Sono rimasto impressionato da due giovani che si allenano con la prima squadra. Non pensavo che aveste in panchina due talenti così, vediamo di usarli al meglio (Stazzonelli e Maretto, ndr)”.
Ma dovranno tutti meritarsi il campo. “Quando un giocatore torna in panchina lo guardo. Avere la panchina è viva è fondamentale. Quando invece resta silente, uno esce borbottando, significa che ci sono dei problemi. Io voglio un gruppo compatto che si aiuta, perché la pallacanestro è un gioco di squadra altrimenti chi si lamenta può giocare a tennis. Dobbiamo sempre pensare che il giorno che gioco male, c’è dietro un compagno che mi sostiene, perché si gioca insieme” conclude senza mai perdere la pacatezza del tono della voce. Che già dà tranquillità, ma non rassegnazione.