di Raffaele Vitali
SANT’ELPIDIO A MARE - Matteo ha 38 anni, Natasha 43. Sono fratello e sorella e sono le colonne della Sagripanti Sas, uno dei più grandi tomaifici ancora esistenti nel cuore del distretto fermano, a Casette d’Ete.
Sono loro a metterci la faccia per mandare un messaggio chiaro alle tante griffe che stanno ‘sbarcando’ in zona per produrre calzature di qualità: “Le orlatrici sono sempre di meno, lavoriamo insieme, non venite a prendercele con offerte fuori mercato”.
Lui è responsabile di produzione, a tutti gli effetti il ceo, lei si muove tra produzione e uffici ed è chi tratta con i clienti. Tanti i brand che usufruiscono della loro qualità frutto di anni di lavoro: “Mio padre mi ha insegnato che è bene avere tutto all’interno. Andare fuori, girare e dover controllare non è mai saggio” sottolinea Matteo.
Hanno 28 dipendenti, che diventano 60 con l’azienda vicina gestita dai genitori ma da cui sono completamente indipendenti dal 2008, e potrebbero anche crescere, oggi fatturano poco più di due milioni di euro, ma c’è un problema.
“Ci siamo confrontati in azienda prima di parlare. I grossi marchi stanno facendo del tutto per prendere orlatrici, simbolo di un mestiere che sta morendo perché non c’è ricambio generazionale. Il problema è che lo fanno con quella che per noi è ‘concorrenza sleale’, perché offrono quello che per noi sarebbe impossibile dare”.
L’impossibile sono in media 200 euro in più al mese, oltre a benefit e premi produzione. “Noi siamo cresciuti dentro l’azienda di famiglia. Da sempre lavoriamo per le griffe, penso a Tod’s, e il problema non c’è mai stato. Perché, e sono tanti marchi con cui lavoriamo, volevano crescere insieme con noi. Far lavorare realtà esterne l’hanno sempre visto come un vantaggio”.
Ora non è più così e infatti in meno di due anni la Sagripanti Sas ha perso 5 dipendenti, cinque donne di grande esperienza. “I brand arrivano e hanno una forza incredibile. Noi chiediamo alle griffe di crearsela la manodopera. Che senso ha per loro crescere se poi uccidi chi è piccolo?”. Che poi loro piccoli non sono.
“Noi garantiamo un livello alto, per questo tanti brand ci danno lavoro. Ma non possiamo pensare di metterci a formare ogni volta un dipendente nuovo. Non abbiamo questa forza. Per rimpiazzare le dipendenti andate via, alcune con 15 anni di esperienza, abbiamo dovuto lavorare duramente. Da settembre a novembre 2022 dalle 18, dopo la fine dell’orario di lavoro, abbiamo fatto dei corsi specifici, una formazione interna affidata alle dipendenti più esperte. E così oggi abbiamo inserito quattro nuove figure, orlatrici incluse”. Due under 40 e due under 30, a conferma della difficoltà di avvicinare i giovani “che dovrebbero capire la bellezza di mettere il marchio di una griffe sulla scarpa”.
Problema risolto? Mica vero. “Ci vuole tempo prima che diventino efficienti come chi c’era. Per questo vorremmo collaborazione da parte delle griffe. Perché non si creano delle loro accademie? Nel mentre lavorano con chi c’è sul territorio. Del resto, se vengono tutte a produrre qua, il motivo è per la qualità che ognuno di noi è in grado di garantire” proseguono i fratelli.
Matteo Sagripanti si è confrontato con altri titolari di tomaifici, non sono neppure più tanti, e il problema è comune. “Uno reagisce, tampona la ferita. Ma se perdi una figura che da 18 anni fa quel mestiere…E sia chiaro, il dipendente lo capiamo, perché la differenza a fine anno diventa importante. Però non bisogna mai dimenticare cosa significa lavorare in una azienda che è come una famiglia”.
Il timore finale è di andare in difficoltà magari di fronte ai tanti ordini: “Il lavoro è per fortuna cresciuto. Il mercato è ripreso bene dopo un periodo devastante, abbiamo attraversato diverse crisi. C’è tanta richiesta di produzione, ma al contempo non c’è possibilità di trovare manodopera velocemente, perché parliamo di figure che per crescere hanno bisogno di tempo. Ogni due tre giorni ci confrontiamo con i centri per l’impiego e le agenzie interinali, ma di orlatrici non ce ne sono più”.
Difficile trovarle, difficile formarle. “Se lavori, è complicato di togliere le figure migliori dalla produzione per metterle a fare formazione e magari creare una scuola internamente alla nostra azienda. Siamo in un tunnel da cui si esce solo se si fa squadra (messaggio anche alle associazioni di categoria, ndr), se tutto il sistema produttivo capisce che è meglio collaborare piuttosto che privare l’altro dei pezzi pregiati”.
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