FERMO – Luisanna Cola non è più la primaria del reparto di Anestesia e Rianimazione del Murri di Fermo. Uno dei punti di riferimento della sanità territoriale, la dottoressa in prima linea durante il Covid e ogni giorno collaborando con tutto il reparto chirurgico, ha detto basta e ha firmato il suo addio al Sistema sanitario pubblico, di certo a quello di Fermo. “Mi sono dimessa volontariamente” racconta in una lunga lettera spedita al ‘quotidiano sanità’. Una scelta chiara, voleva che il suo messaggio diventasse nazionale e aprisse a un confronto dentro il sistema.
“Il mio direttore (Roberto Grinta, ndr) sulla stampa le ha derubricate come dimissioni per motivi personali come se esistessero scelte impersonali. Da una parte si è detto che la politica aveva lavorato male e dall’altra si è asserito che la scelta è legata a più lauti guadagni nel privato, con meno responsabilità. In due giorni si è spenta la polemica, probabilmente distratti da una nuova” prosegue.
Sulla questione ‘soldi’ è netta: “Un anno prima avevo rinunciato alla carica di Direttore di Dipartimento Emergenza rinunciando ad un netto di 1000 euro in busta paga. Per cui…la vertà è che mi sono ritrovata in una crisi profonda”.
Cita il libro della Coin sul ‘rifiuto del lavoro e il riprendersi la vita’. “Il sistema in cui viviamo è rotto e in questo contesto spesso chi abbandona il lavoro non fa perché può permetterselo. Lo fa per sopravvivere. La frase più spesso pronunciata in chi vuole licenziarsi è: “Non riesco neanche a…”. Ormai da diverse generazioni, a parità di tipo di lavoro, molte persone hanno iniziato a guadagnare meno delle precedenti. Oggi una famiglia composta da due medici può aspirare ad un terzo, massimo alla metà delle promesse di guadagno dei genitori con lo stesso lavoro. Un medico degli anni 50-60 viveva con la sua famiglia una vita agiata e riusciva a comprare una seconda casa per le vacanze o a garantire un ottimo tenore di vita alla sua famiglia. Non è più così. Senza promesse di sviluppo si perde la spinta ad una professione sempre più problematica” ribadisce.
Ma non è solo questione di guadagni: “Il problema della violenza sul personale sanitario è in crescita. Gli ambiti dove le violenze sono più frequenti sono i Dipartimenti di Emergenza, Pediatria e Chirurgia, non a caso i meno appetibili per chi deve scegliere una specialità. Quella medica è l’unica professione al mondo sottoposta a tre tribunali: un tribunale aziendale, nel proprio ospedale; un tribunale ordinistico, che è quello professionale; un tribunale civile e penale, che è quello della giustizia ordinaria”.
C’è poi la questione carichi di lavoro: “Al pronto soccorso un medico arriva a vedere 100 pazienti al giorno”. E nonostante il super lavoro, arriva poi quello che la Cola su ‘Quotidiano sanità’ definisce il tribunale del popolo. “Manca una cultura di protezione della propria sanità, un orgoglio a far sì che funzioni, una responsabilità a trattarlo come un ambiente fragile e prezioso. Eppure la sanità è un bene di tutti e le condizioni di lavoro, gli affollamenti, i ritardi di presa in carico, le liste di attesa, non sono responsabilità dell’ultimo lavoratore. Eppure i sanitari in corsia andrebbero protetti, non basta che a mobilitarsi sia solo chi lavora nel settore”.
La dottoressa spesso ha parlato del ruolo del pubblico, del sistema sanitario della missione dietro il lavoro di medico e di operatore sanitario. “I sanitari svolgono professioni di servizio, sono lavoratrici e lavoratori essenziali, che faticano giorno e notte per curare, accudire, alleviare, consolare e tenere in vita il resto della società senza un adeguato riconoscimento economico e sociale. Per non parlare della perdita di competenze. A completare il quadro aggiungiamo i tagli dell’organico con il mancato turnover, l’uso estensivo di contratti precari, l’aumento dei carichi di lavoro senza controllo e una cultura antisindacale, trasversale al mondo del lavoro”.
Tutto questo motiva le ‘grandi dimissioni’. “Se dovessimo basarci sui dati degli anni passati, nel 2024 possiamo stimare in 7000 i medici che hanno lasciato le corsie degli ospedali pubblici. Come se non bastasse al fronte “uscite” si affianca la perdita di attrattività per la sanità pubblica con molte borse di studio per le specializzazioni più critiche (quelle che ho nominato prima: Pronto soccorso, Anestesia, Pediatria, Chirurgia) che vanno deserte”.
L’amara lettera di ‘addio al Ssn’ si chiude con una speranza: “La politica deve voler migliorare il sistema. La Spagna lo ha fatto: salari più alti, organici aumentati, contrasto al lavoro sommerso, introduzione di nuovi servizi per l’infanzia e abolizione di tutte le forme di lavoro gratuito come l’accumulo di orario non retribuito. Una buona Sanità ha bisogno di una eccellente società”.