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La storia di Jester. Morlacca, il giullare della birra che vince premi e conquista mercati partendo da Petritoli

3 Dicembre 2024

di Raffaele Vitali

PETRITOLI – Erri Morlacca e Jester-Birrificio agricolo dalla piccola Petritoli al podio delle migliori birre mondiali: un bronzo e un argento al Bruxelles Beer Challenge. Il 47enne si racconta, dall’amministrazione di una ditta di Gpl a birraio, da candidato sindaco un paio di lustri fa a riferimento per chi ama bionde e rosse. Il tutto circondato dalla bellezza di uno dei borghi più belli d'Italia.

Morlacca, da dove è partito?

“Il mio percorso con Jester ha avuto inizio nel 2013. Volevo fare qualcosa per me, volevo cambiare la mia vita da dipendente di una ditta che si occupa di Gpl per cui seguivo l'amministrazione. La prima fortuna è che la famiglia aveva una struttura a disposizione inutilizzata”.

Ma ha seguito l’esempio di qualcuno?

“Mi definirei un autodidatta. Madre orlatrice, padre operario calzaturiero, con un allevamento di maiali negli anni ’80 come secondo lavoro. Poi l’hanno chiuso e la struttura è rimasta vuota, abbandonata. La guardavo e pensavo a cosa farci. Il legame con la terra lo sentivo, ma nessuno in famiglia si era mai occupato di produzione di qualcosa, figuriamoci di birra”.

Come si impara a fare la birra?

“C'è voluto tempo. Prima ho fatto una esperienza lavorativa in un frantoio, la prima idea era di prendere quella strada. Ma era un mercato saturo e sarei partito senza piante di ulivo”.

E quindi?

“Il caso ha voluto che partecipando a un convegno a Fiastra della Copagri, ho seguito un seminario sulla filiera agricola della birra. Lì ho capito che dovevo piantare l’orzo”.

Immagino un lungo percorso di formazione.

“Passo passo fino al diploma con l’università di Perugia”.

La produzione?

“Ricorderò sempre la prima cotta, era l’8 agosto del 2015. Da quel giorno ho deciso che a ogni ricetta avrei abbinato ingredienti del mio territorio”.

Per questo si chiama birrificio agricolo?

“E’ una scelta precisa: i grani antichi, l’anice verde di Castignano, i melograni dalla Valdaso, la lavanda, il miele da Sant’Elpidio a Mare, una birra con il mosto di Santa Liberata e altre particolarità. Sempre con il malto di mia proprietà. Così nascono Lavandula, Claroma, Solina, Lunaria, Monovasia e tutte le atre tipologie”.

Nel mentre l’addio al Gpl e la decisione di investire solo sul birrificio?

“Esatto. Dovevo scegliere il nome ed è venuto naturale, come quello per le birre”.

Perché Jester?

“È il giullare, richiama la mia personalità, sono legato a San Francesco e al suo essere il ‘giullare di dio’”.

Birra e basta nel suo business?

“Ho trovato lo sviluppo agricolo con un terreno nel comune di Rotella, in zona Rovetino. Lì ho cereali e 2500 alberi di mele rosa dei Sibillini. Sono diventato un presidio Slow Food ed è nata così l’idea del sidro alla mela rosa, che piace molto nel nord Italia. E poi l’evoluzione con l’aceto di mela rosa”.

Come si finanzia un’azienda come la sua?

“Risorse personali e poi i bandi del Psr, con un 45% a fondo perduto, e i mutui. Ho puntato subito su un impianto nuovo di qualità approfittando dei fondi europei”.

Investimenti che continuano?

“L’anno scorso in azienda è arrivata l’imbottigliatrice isobarica, che permette di imbottigliare birra pronta per il giorno stesso, una tecnica consigliata per determinati tipi a bassa fermentazione o luppolate. Poi ci sono ricette, di stile belga, che invece puntano sul rifermentato”.

Quale è la sua produzione?

“400-500 ettolitri l’anno”.

Il mercato di riferimento?

“L’Oreca e la vendita diretta in azienda. Al momento i clienti sono italiani, sto valutando il Belgio, soprattutto dopo la vittoria al concorso, e la Svizzera. Ma è da capire e valutare molto bene”.

Quali sono i best seller?

“Le punte di diamante sono la Francisco, pluripremiata belga con luppoli americani, e le altre basiche come la Solina. E poi la Verbena con la sua schiuma bianca intensa”.

Morlacca, parliamo del concorso in Belgio?

“Il mio primo premio all’estero. Mi sono iscritto l’ultimo giorno, mi sono presentato con tre birre: Francisco, Catuai e Calroma. La settimana prima della proclamazione mi arriva una e-mail con l’invito alla premiazione. Ma pensavo fosse un atto dovuto”.

E invece?

“Dopo qualche giorno arriva la mail con il link per seguire la premiazione. Pensavo fosse una richiesta dovuta e invece, avevo vinto. Non mi è rimasto che partecipare online”.

Come è andata?

“Un argento con la Francisco e un bronzo con la Catuai in cui ho inserito note di caffè, rigorosamente locale (Perfero, ndr). Un premio che apre anche le porte commerciali, già mi arrivano inviti a fiere. Parliamo di un concorso internazionale, c’erano 1775 birre in gara (a Rimini sono 1100). Una vera gioia”.

Quali sono le birre migliori ai concorsi?

“Più premi li prendono le aziende del centro Europa, Germania, Belgio, Francia. E poi le mie due”.

Quanto tempo ci vuole prima di poter gustare una birra Jester dopo la produzione?

“La birra dalla produzione all’imbottigliamento deve attendere 40 giorni”

Quanto contano packaging e grafica?

“Sono davvero importanti. La comunicazione è tutto, poi ci deve stare il prodotto e la storia. Etichette e disegni raccontano il prodotto e dobbiamo comunicarlo il più possibile, a cominciare dall’essere filiera agricola”.

Il prossimo step?

“Sperimentare nuove birre, anche il barrique per la produzione. A gennaio uscirò con due birre nuove. E poi vorrei implementare la struttura per essere più accogliente, crescere nella degustazione potendo puntare sul panorama”.

La regione Marche sta investendo sulle birre, cosa ne pensa?

“E’ una azione importante, soprattutto educativa. Per portare la birra fuori dalla pizza e dall’hamburger e far capire l’abbinamento dei piatti l’impegno deve essere collettivo. Fare cultura e raccontare la filiera è determinante. Noi in Italia siamo grandi produttori di orzo da birra per i grandi maltifici. Il percorso del vino insegna”.

Cosa significa birrificio agricolo?

“Che il 51% degli ingredienti deve essere autoprodotto”.

Ha mai pensato alle lattine?

“Ci ho pensato, per ora credo nella bottiglia. La birra nella lattina si conserva meglio, non passa la luce. Ma la birra è di consumo veloce, non è come il vino. Rende più facile la spedizione, ha un costo inferiore. Però per adesso, essendo più indirizzato sulla ristorazione, preferisco la bottiglia di vetro”.

Ma chi la aiuta?

“Posso dire di essere solo. Ogni tanto qualche collaborazione nei giorni di massima produzione, ma faccio tutto, incluso imbottigliamento ed etichettatura”.

@raffaelevitali

Raffaele Vitali - via Leopardi 10 - 61121 Pesaro (PU) - Cod.Fisc VTLRFL77B02L500Y - Testata giornalistica, aut. Trib.Fermo n.04/2010 del 05/08/2010
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