di Francesca Pasquali
MONTE RINALDO - Un grosso “dolium” al centro di un basamento di pietre. E i resti di un’antica fattoria.
Non finisce di stupire la “Cuma”. Dalla terra attorno al santuario romano-ellenistico di Monte Rinaldo continuano a spuntare tesori. A riportarli alla luce, dopo duemila anni, la quarta campagna di scavo (quinta se si conta anche quella del 2016, incentrata su rilievi topografici e indagini geofisiche) in corso in questi giorni.
Dopo lo stop forzato dell’anno scorso, le mani esperte e curiose di una decina di studenti e ricercatori del Dipartimento di Storia, cultura e civiltà dell’Università di Bologna sono al lavoro. Sotto la supervisione della Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio delle Marche.
D’inverno si studia in biblioteca, d’estate si scava, sotto il sole che non dà tregua. Con la pelle che luccica di sudore, la squadra lavora senza sosta. Picchetta le zolle di terra, portata poi via con le carriole. E spennella pietre e cocci tornati dal passato. Poi sciacquati e catalogati.
Un gruppo unito, coordinato dal prof. Enrico Giorgi, di Ascoli, e con uno zoccolo duro che parla marchigiano. Formato dall’osimano Francesco Belfiori e da Francesco Pizzimenti, che è di Falconara. La terza “anziana” è Paola Cossentino, che si occupa di repertare quello che spunta dalla terra. Del gruppo fa parte anche Veronica Castignani, di Montecosaro.
«Dalle indagini – raccontano i due Francesco – erano emerse alcune “anomalie”. Segnali che, sotto, c’era qualcosa. Sono perciò entrate in azione le ruspe, per portare via il grosso della terra. Poi, è toccato a loro. Per capire se il santuario datato tra il secondo e il primo secolo avanti Cristo fosse inserito in un contesto insediativo più vasto. Cioè, se oltre alla Cuma, lì attorno ci fossero altri edifici. Che è proprio quello che sta venendo fuori dagli scavi di questi giorni, spostati un po’ a valle rispetto al santuario.
Cominciati lunedì scorso e che andranno avanti fino al 23 luglio. Parlano di «risultati incoraggianti» i due ricercatori. Sotto gli strati di terra è, infatti, emerso il basamento di una struttura dello stesso periodo del santuario, al centro del quale è stato trovato un “dolium”, un contenitore usato nell’antichità per contenere cibi e bevande. La sfida, adesso, è capire cosa fosse quell'edificio.
Di fianco al basamento, i giovani archeologi hanno trovati i resti di un'altra costruzione, probabilmente una fattoria, più recente rispetto al santuario e simile a quella scoperta due anni fa nell’area della Cuma. È su questa che, adesso, si stanno concentrando gli scavi. Che, si augurano i due ricercatori, «andranno avanti anche nei prossimi anni».
Li rassicura il sindaco Gianmario Borroni. «Con queste nuove scoperte – dice –, si apre una fase nuova che ridefinisce la nostra strategia». «Con quello che sta emergendo - prosegue -, potremo proiettarci verso un allargamento del sito, grazie alla sinergia tra Soprintendenza, Università di Bologna e Comune». Che hanno sottoscritto una nuova convenzione «che pone le basi per un rapporto di lungo periodo».
È in questa direzione che va anche il progetto per il Contratto di sviluppo che il Comune sta per presentare e che «mette al centro le attività turistiche e scolastiche legate al sito archeologico». «Ci proiettiamo al 2022 con grandi novità», sintetizza Borroni. Ci sarà, però, da capire che fine faranno i reperti trovati. L’idea di fare della Cuma, che è visitabile tutti i giorni su prenotazione, un sito archeologico a cielo aperto solletica il Comune. Che, però, da solo non può farcela.
«La valenza del progetto – spiega il sindaco – è rimasta spesso inconsiderata da parte di tanti enti che avrebbero potuto essere più vicini al nostro territorio». «Abbiamo bisogno di risorse – chiosa –, ci aspettiamo che la sensibilità di questi enti possa essere sollecita».