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La rinascita di Bigioni: "Ristrutturato il debito e venduto la storica fabbrica. Oggi produciamo per le griffe. E c'è sempre la Russia"

16 Marzo 2022

di Raffaele Vitali

MONTEGRANARO – Direzione Russia. Non si ferma Ronny Bigioni. Ordini, affari da concludere e un volo per Mosca già prenotato a fine mese.

Non lo si incontra più nella grande fabbrica, nera e bianca, con la sua elegante scala all’ingresso, ma ha fatto rinascere quella che fu di Alberto Guardiani. “Un contratto di affitto. Una spesa importante all’interno, per renderla bella e funzionale” racconta mentre si chiude il Micam, meno amaro del previsto.

Dopo un periodo difficilissimo, con la Dino Bigioni a un passo dalla chiusura, l’azienda familiare si è ripresa. Fondamentale è stata la vendita della storica sede alla Tod’s. “Siamo ripartiti a inizio anno. Contento anche mio padre, perché abbiamo saputo ricreare un luogo bello, nostro. Non usiamo al momento il primo piano, sarebbero 3800 i metri quadri a disposizione, per ora troppi”.

La famiglia ha avuto la forza di non crollare e ottenere dai creditori, il 93% lo ha condiviso, un percorso condiviso di ristrutturazione del debito. “Ora siamo di nuovo operativi e possiamo camminare a testa alta. Il lavoro è affidato per più del 70% alla produzione per i marchi. Ci siamo organizzati per modelleria, prototipia, campioni, collezioni. In questo modo l’azienda è non solo appetibile dal punto di vista di produzione delle sneakers di livello alto, ma anche dal punto di vista dell’accoglienza alla griffe che ci cerca. Sa che qui trova tutto”.

I macchinari li hanno portati dalla vecchia fabbrica, la Tod’s ha comperato i muri, ma si è aggiunta una manovia completamente elettrica, non più a spinta. C’è poi la linea Dino Bigioni, quella che continua a piacere nell’ex Csi in particolare. “La parte sneakers dei Bigioni la produciamo all’interno, essendo i macchinari tarati sullo sport. Mentre le linee classiche, dopo aver preparato tomaie e pelli, le diamo in conto lavorazione a due terzisti esterni, sempre della zona”.

Ovviamente le difficoltà si sono ripercosse sulla forza lavoro. “Siamo ripartiti in 16 e dopo pochi mesi siamo quasi raddoppiati, grazie al lavoro che non manca. Un paio di contratti importanti e la Russia ci hanno permesso di strutturarci di nuovo. Sui 29 totali, sono solo sei i contratti a termine”.

I primi sedici sono della vecchia guardia, altri per fortuna si erano già trovati un altro posto. “Non è stato un bel periodo. Quando un imprenditore licenzia, non sta bene, si dorme male. Noi eravamo davvero una famiglia, con le cene aziendali in fabbrica. Un periodo duro. Il calo del fatturato, soprattutto nel 2019 ci ha colpito, le banche ci hanno lasciato inizialmente soli. Abbiamo terminato le produzioni con sforzi personali, però poi siamo arrivati a fine anno che abbiamo dovuto licenziare e non fare ulteriori indebitamenti non gestibili. E così siamo ripartiti, come famiglia conosciuta che da 54 anni sta sul mercato. Abbiamo venduto la nostra fabbrica, creata con sudore, per sistemare i conti e andare in giro a testa alta”.

La soddisfazione oggi è pagare gli stipendi. “A giorni partiranno i Tfr. Se non ci fosse stata la pandemia avremmo anticipato i tempi”. La difficoltà ha unito sempre più i due fratelli e la sorella. “Insieme abbiamo deciso di andare avanti, continuando a produrre. Avevamo valutato la commerciale, ma noi siamo cresciuti in fabbrica e i marchi che ci hanno seguito e dato fiducia, che stanno da noi, hanno bisogno della fabbrica. E in più il nostro brand ha un suo mercato, se non in Europa di certo in Russia e paesi vicini”.

Famiglia compatta, quindi. “Roberta mantiene l’amministrazione, Riccardo e mio figlio seguono la produzione, io i campionari dei marchi e di Bigioni e la vendita, non avendo al momento dei nostri agenti” riprende Ronny Bigioni.

Che teme la situazione russa, nonostante le garanzie che arrivano dal cliente principale, Rendez-Vous: “La fortuna nella sfortuna è che oggi l’azienda lavora al 70% per i marchi e quindi la produzione e il lavoro per i dipendenti va avanti. Per fortuna avevamo già consegnato gran parte della merce. Abbiamo ferma quella degli ucraini, che avevano dato anche acconti. A ottobre a Kiev avevo visto le persone convinte e felici di comprare. E così hanno fatto sforzi per gli acconti, qualcuno addirittura il saldo, ma oggi non possiamo né consegnare le scarpe né restituire gli anticipi, cosa che farò appena possibile. L’Ucraina per anni non sarà un mercato, prima devono ricostruire le loro case, la loro vita. Intanto, tra Micam e qualche cliente che ho sto sistemando le scarpe degli ucraini e sto lavorando per andare incontro a qualche cliente russo, con qualche sconto visto anche il livello del rublo che a 144 impatta enormemente sul costo delle nostre scarpe”.

L’ultimo pensiero è per il Micam: “Ne abbiamo discusso in famiglia, soprattutto dopo lo spostamento. Non sapevamo che ci sarebbe stata la guerra, sapevo che c’era però la richiesta dei buyer e sarebbero poi arrivati Obuv e Kiev. Tanti erano i dubbi. Poi ci siamo detti: la fiera è sempre la fiera e il marchio doveva esserci, ci siamo da sempre. E abbiamo fatto bene a venire a Milano, serve anche per confrontarsi con gli altri”.

Raffaele Vitali - via Leopardi 10 - 61121 Pesaro (PU) - Cod.Fisc VTLRFL77B02L500Y - Testata giornalistica, aut. Trib.Fermo n.04/2010 del 05/08/2010
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