di Raffaele Vitali
PORTO SAN GIORGIO – Dieci anni di Nikita Sergeev, dieci anni in compagnia con L’Arcade. Giusto festeggiare, poi c’è modo e modo. Lo chef diventato stellato ha scelto di farlo con amici, parenti, clienti più stretti. Un aperitivo informale, in quello spazio da cui ammirare la grande cucina, un paio d’ore tra musica, bollicine e finger food preparati dallo staff.
Che per Sergeev non è qualcosa da cambiare ogni stagione: “Se ci penso, Leonardo lavora con me da 8 anni, gli altri da 3-4. Ma questo non significa che non ci sono possibilità. A me piace anche cogliere il talento. Un ragazzo è arrivato, senza esperienza, mi ha parlato a lungo. Lo sto provando, magari è davvero un fuoriclasse, di certo ha passione. Poi se pronto lo formo. C’è chi nasce con l’orecchio assoluto, ma sempre deve studiare lo strumento”.
Questa è la filosofia dello chef arrivato da lontano ma orami più sangiorgese di chi è nato al Murri: “Se ripenso a questi dieci anni, davanti a me passano ricordi, cadute, ascese. Ma – racconta Nikita – soprattutto costanza e accoglienza. Perché la cucina non vive di sole idee e novità, ci vuole tanta costanza”. Anche per questo cerca di tenersi stretto il personale. “L’identità si costruisce passo dopo passo. La mia caratteristica principale, che non significa essere migliore, è quella di aver saputo interpretare la cucina italiana, contaminandola con le mie origini. Tutto è migliorabile, anche la cucina italiana si può ‘toccare’ e un occhio esperto lo capisce”.
Il mercato anche, se dopo dieci anni L’Arcade è ancora al suo posto, anzi nella nuova location fronte mare dopo il lungo periodo lungo viale Roma. “Durante i primi anni è il territorio che mi ha capito e dato forza. Poi sono iniziati i viaggiatori, quelli che passano per Porto San Giorgio, magari per lavoro, e si fermano. Era normale che aa un certo punto i locali scendessero, ma ho intercettato quel mondo tra Ancona e san Benedetto del Tronto. Poi è arrivata l’Umbria. Ma dobbiamo tutti essere consapevoli che alla fine i clienti sono quelli e di offerta ne hanno di fronte. All’inizio forse c’ero io, poi sono arrivati i ragazzi di Retroscena e via via è cresciuto tutto il mondo del food di questa bella cittadina. La clientela ovviamente si divide”.
Chi è lì per brindare al decennale di certo sa che non rinuncerà ai piatti disegnati dallo chef. Non ha voluto chissà quel regalo per i dieci anni. “A me bastava questo, stare con chi mi vuole bene”. Si gira, sorride alla mamma che lo guarda fiera. Vicino a lei il padre, più silenzioso. E poi ci sono il sindaco Vesprini con famiglia e l’assessore Marcattili con la moglie, "per noi è un perno dellaa prmozione dellaa città". Arriva anche Marco Marinangeli, è passato l’amico di sempre, l’ex sindaco Agostini. Per un brindisi si affacciano i ristoratori vicini, li attira il sorrido di Nikita ancora più della bella musica di Lorenzo Girelli e degli Spaghetti a Detroit.
Due saluti, impossibile non essere interrotti, poi riprende a parlare: “A volte mi chiedono come convinco il cliente a mangiare qui. Ma non devo convincerlo, sarebbe un errore. L’ho capito dieci anni fa. Se uno vuole stare bene, sentirsi coccolato in un grande ristorante italiano, allora entra all’Arcade. Questo posto è un po’ come il pranzo della domenica, quello di festa, quando sul tavolo ci sono le posate migliori, quando il polo scelto è quello perfetto, quando tutto attorno a noi ci fa stare bene. Questo è quello che lascio nel cliente, sempre”.
In questi due lustri Nikita Sergeev è stato anche ‘il primo’ in tante cose. Dall’orto allo street food, non si è fatto mancare nulla: “E anche per questo oggi sono molto attento nell’uso delle parole. Sostenibilità è un bel termine, ma deve essere anche parte del lavoro, quindi di come si sta in cucina, del modo in cui si trattano i collaboratori. La cucina è rigore, ma non deve vere rigidità”. Forse anche per questo gli otto che si muovono tra i fornelli, “in arrivo un nono”, e i 5 di sala si trovano bene con Nikita, poi certamente la stessa Michelin oggi è un quid in più.
“Ma – conclude prima di perdersi tra abbracci e brindisi – è solo stato un obiettivo. Da quando abbiamo iniziato a lavorare sapevamo che ce l’avremmo fatta. E anche per questo non ci ha cambiato. Vale anche per i prezzi, ho fatto una scelta, perché so che il cliente vive una fase complessa. Il mio desiderio non è cambiato, voglio che più persone possibili scelgano la mia cucina, ci conoscano e se ne vadano via a fine cena consapevoli di essere stati in un grande ristorante italiano. Ma a modo mio”.
@raffaelevitali