LONDRA – Bye Bye Bruxelles. La Gran Bretagna se ne va e lo fa con un vito molto chiaro. Dicendo sì aa Boris Johnson, gli inglesi confermano il loro sì alla Brexit che in questa lunga diaspora iniziata tre anni fa era stato messo in discussione. "Vince Johnson cavalcando l'onda di Brexit. Perde l'illusione di una sinistra nostalgica. Speranza e fiducia nell'Unione europea. Oggi più che mai" commenta il commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni.
BoJo, ex sindaco di Londra arrivato al seggio con il cagnolino Dilyn al guinzaglio, per i prossimi 5 anni entrerà e uscirà dalla porta di Downing Street. Tra poche ore la regina Elisabetta II gli conferirà il mandato da premier e lo ringrazierà perché sa che nelle sue mani la Gran Bretagna entro il 31 gennaio riconquisterà la sua totale indipendenza.
Se i sondaggi avevano messo in discussione il controllo del Parlamento da parte dei Conservatori, il voto ha spazzato via i laburisti e il loro candidato vintage Corbyn: 364 seggi su 650, con i laburisti che si fermano a 203. Anche se Johnson un problema ce l’ha, lo Scottish National Party con 48 che gli complicherà le cose e gli richiederà molta più diplomazia di quanta mostrata fino a oggi.
IL CROLLO DEL LABOUR, IL TRIONFO DEI TORIES
Boris Johnson incassa un voto di fiducia importante sul tema centrale della sua campagna: Brexit. Proprio l'uscita dall'UE - pilastro dello slogan di Johnson, "Get Brexit done" - diventa la prima fra le chiavi di lettura più interessanti di queste elezioni.
La crescita dei conservatori a discapito dei laburisti, infatti, è avvenuta principalmente nei seggi in cui aveva vinto il Leave: il Labour ha perso un terzo dei suoi collegi pro-Brexit, mentre ha tenuto quasi il 90% di quelli dove aveva vinto il Remain. Se concentriamo solo l'attenzione sui collegi laburisti del 2017 in cui il Leave ha vinto con più del 65% le perdite sono ancora più pesanti, con circa la metà di questi seggi che passa ai Conservatori. La maggior parte di queste perdite sono state localizzate nell'Inghilterra del Nord, in quella fascia che collega Newcastle con Liverpool. Un tempo era la zona più di sinistra del Paese, tanto che il Labour l'aveva ribattezzata "Red Wall", il muro rosso, o "Heartland", la terra del cuore.
COSA ASPETTA IL REGNO UNITO
Con la vittoria di Boris Johnson, non ci dovrebbero essere altri ostacoli nella strada verso la Brexit del 31 gennaio. Il processo più lungo sarà quello della transizione successiva, con la rinegoziazione dei singoli accordi commerciali che si prolungherà, almeno, per buona parte del 2020. Intanto incassa il primo regalo. "La Gran Bretagna e gli Stati Uniti saranno ora liberi di concludere un nuovo enorme accordo commerciale dopo la Brexit. Questo accordo ha il potenziale per essere molto più grande e più redditizio di qualsiasi accordo che potrebbe essere fatto con l'Ue" ha commentato il presidente Usa, Donald Trump. E tutto da vedere è il futuro dei 700mila italiani. BoJo ha garantito che per loro non dovrebbe non cambiare nulla e che per tutto il prossimo anno si viaggerà serenamente, poi passaporto e visto, ma soprattutto tutto sarà complicato per chi vorrà trovare un posto di lavoro o studiare in Gran Bretagna.
LA SCOZIA VERSO UN NUOVO REFERENDUM?
Oltre ai conservatori, l'altro vincitore delle elezioni di ieri è lo Scottish National Party, che ha conquistato 48 seggi scozzesi su 59 riportandosi vicino ai livelli record del 2015 quando ne aveva vinti 56. Il recupero (+13) rispetto alle elezioni del 2017 arriva non solo recuperando dal Labour, ma anche strappando ben 6 seggi ai Conservatori, che hanno faticato in questa terra dove il Remain era stato egemone.
La prova di forza del SNP potrebbe avere conseguenze pratiche molto importanti per il Regno Unito e per la Scozia. Con la Brexit ormai in vista, aumentano infatti sempre più le probabilità di un secondo referendum per l'indipendenza scozzese, dopo che nel 2014 una prima consultazione si era conclusa con la vittoria del No all'indipendenza per 55,3% a 44,7%. All'epoca, però, l'uscita del Regno Unito dalla UE era solo una remota minaccia, e in un nuovo voto in Scozia i risultati potrebbero essere molto diversi da cinque anni fa.
IL FALLIMENTO DEL TACTICAL VOTING
Nonostante la débâcle della loro leader, il risultato dei liberaldemocratici non è del tutto negativo, e a livello nazionale guadagnano più del 4% dei voti passando dal 7 all'11,2%. La buona crescita percentuale dei LibDem, a fronte del crollo (-7,9%) dei Laburisti, ci dà un'altra chiave di lettura delle elezioni di ieri: il fallimento del cosiddetto "tactical voting". In pratica, si trattava di un'indicazione di "voto utile" per gli elettori laburisti, nazionalisti scozzesi e liberaldemocratici, per sconfiggere i candidati conservatori. Questa avrebbe dovuto essere un'arma strategica importante per i partiti anti-Brexit contro i Conservatori, invece si è rivelata inefficace - se non addirittura controproducente. Per esempio, nel collegio di Kensington a Londra - vinto di appena 20 voti dal Labour nel 2017 - la crescita dei LibDem grazie al tactical voting ha portato all'opposto del risultato desiderato: il candidato conservatore ha sconfitto la parlamentare laburista di appena 150 voti.
Raffaele Vitali