di Raffaele Vitali
FERMO – Emergenze, supporto, reazione, prevenzione: tutto questo è racchiuso in due parole: Protezione Civile. Ed è a uno degli esponenti di punta delle Marche, Francesco Lusek, che quest’anno va il ‘Premio Adriatico – un mare che unisce’ che verrà consegnato domenica alle 16 al teatro Alaleona di Montegiorgio.
Lusek, che premio è?
“Viene dato a figure di riferimento per le regioni sull’Adriatico. Mi premiamo per il trentennale di attività nella Protezione civile. Sono partito nel 1994 come volontario a Petritoli. Avevo 14 anni, all’epoca si poteva con la firma del genitore. Oggi devi essere maggiorenne, anche se dai 16 si possono iniziare le attività formative”.
Come è nata la sua passione?
“Giocando con le macchine dei pompieri. Una vera passione che ho trasformato in lavoro dopo un periodo nello scoutismo che mi ha dato i valori di base”.
Un premio che la gratifica?
“Un riconoscimento, ti dimostra che qualcosa di buono viene percepito. Anche se sono consapevole di errori e situazioni complesse affrontate. Un premio a un lavoro che ti fa ‘riportare’’ a casa tanto dolore, dalle vittime alle tragedie. Ma poi ci sono le gioie, quell’aiuto che è fondamentale dare”.
Ma è un premio alla carriera?
“I 30 anni sono un dato, ma dietro il premio c’è l’impegno in missioni innovative di assistenza ai soccorritori locali di Protezione civile in Ucraina. Tutti pensavano giustamente agli sfollati, ma era necessario il supporto a livello di tecnologia ed expertise che i nostri uomini e donne potevano garantire. Noi siamo ferrati sui terremoti, loro sulle alluvioni. E così li abbiamo addestrati sulle tecniche di ricerca tra le macerie e li abbiamo dotati, grazie a donazioni di imprese fermane e picene e all’impegno di Guido Bertolaso, di nuove tecnologie. Abbiamo fatto addestramento direttamente nel teatro operativo”.
Quando la sua passione è diventata lavoro?
“Ho iniziato come soccorritore sulle ambulanze nel 1999, poi ho seguito il corso di laurea in Protezione civile a Perugia e mi sono formato al meglio. Crescendo la consapevolezza della figura del disaster manager, oggi esperto di Protezione civile se sei laureato, il lavoro non è mancato”.
Dopo la laurea è approdato a Fermo?
“Dopo i terremoti del 1997, de L’Aquila e dell’Emila. In mezzo anche l’alluvione del 2011 che ha segnato le Marche”.
La Protezione civile sembra sempre più importante. Ma solo nell’emergenza?
“Nell’animo italico c’è una grande capacità di mobilitazione ma una limitata capacità di pianificazione. Nei giorni in cui non c’è il problema siamo inclini a non considerare l’eventualità del rischio”.
Per farsi trovare pronti andrebbe cambiato il sistema del volontariato?
“Più che altro andrebbero standardizzate le procedure, incentivata e standardizzata la formazione. Il volontario è la risorsa, ma va reso un modello nazionale. L’idea nata con Zamberletti, la capacità di far fare squadra all’italiano medio, va formata meglio”.
Abbiamo le competenze per formare all’interno dei comuni i volontari?
“Un piccolo comune non può avere una figura dedicata alla Protezione civile. Ancora di più fino a che si pensa al sistema solo come emergenziale. Investire negli esperti in tempo di pace sembra una spesa superflua o una invasione di campo verso altre figure professionali e tecniche. Invece, avere un referente che sa far dialogare tutti, le professionalità più eterogenee, è importante. E poi ci sono le esperienze operative necessarie a diventare un formatore per la parte amministrativa”.
Come si risolve questa situazione, serve una norma nazionale?
“Nel 2018 si è parlato di ‘professionalità specifiche’. In teoria quindi gli enti locali hanno una linea di indirizzo ma andrebbe dettagliata e magari andrebbero previste risorse aggiuntive. Ma siccome i problemi sono in tutti gli uffici, diventa anche una scelta politica”.
Cosa fa Lusek per aumentare la formazione territoriale?
“Lavoro con chi ha la sensibilità e chi crede in questo percorso. Bisognerebbe provare anche a organizzare gruppi di 5-10 comuni per creare un sistema organizzato”.
Ma stiamo imparando dai disastri naturali?
“Il cambiamento climatico è diventato decisivo. Come Protezione civile si stanno creando dei piani di emergenza flessibili. Non si può pianificare fino al centimetro, ogni emergenza è più variabile e quindi serve autonomia decisionale, perché poi sul territorio l’autorità di Protezione civile è sempre il sindaco”.
Allerte esagerate in questo periodo?
“E’ giusto tarare l’allerta. Anche se a volte la cosa non viene compresa, meglio prevenire e salvare vite che sottovalutare. È un tema delicato, che poi va a impattare sulla gestione delle risorse per prevenire il dissesto, se stiamo alle alluvioni. Servono tante risorse per i lavori”.
Lusek, secondo lei siamo una provincia fragile?
“Come il rischio sismico, è presente. Non possiamo dire che Fermo sia più fragile. Il problema è nazionale. La differenza dal sismico è che il rischio idrogeologico è più frequente e quindi la percezione nel cittadino è diversa”.
Volontari sempre più anziani, dove è il problema?
“Dove ho lavorato in formazione i giovani si avvicinano, se si dà uno scopo e un riconoscimento, i giovani arrivano. Non è vero che non hanno voglia, le Croci sonno piene di volontari, proprio grazie alla formazione continua e all’operatività. Lo faccio in diversi comuni fermani e ad Ascoli, ma sto lavorando anche fuori regione e lì i giovani rispondono”.