di Raffaele Vitali
FERMO – Le porte non si chiudono mai, il futuro riserva sempre nuove sfide. Paolo Silenzi termina la sua esperienza alla guida di Cna Fermo, ma di certo non quella in Cna di cui è un riferimento a livello nazionale. “Sono diventato presidente nel 2013, a 38 anni. Uno dei più giovani presidenti d’Italia” sottolinea soddisfatto. È stato il simbolo di un vero ricambio generazionale con Alessandro Migliore, che da direttore 33enne prendeva in mano l’associazione.
Silenzi, da dove partiamo?
“Dall’inizio, da otto anni fa. Arrivavo dall’unione Federmoda. Nel 2013 ho cominciato a capire cosa fosse davvero la Cna e ho dato vita a una delle prime reti d’impresa. Non è scontato capire di cosa si occupi davvero una realtà. Si pensa sia una erogazione di servizi, un intermediario politico. E invece è molto di più per il territorio, un luogo dove fare massa critica, dove interloquire con tutti su tutto”.
Lei ci crede davvero nell’associazione.
“Il punto nodale è mettere in comune i valori per generare una spinta collettiva”.
Per tanti è il presidente dell’ascolto, ci si riconosce in questa definizione?
“Sicuramente il fatto di essere arrivato da giovane, con minor esperienza, mi ha permesso di usare l’aarma migliore: l’ascolto. Facendolo sono cresciuto senza mai venire meno al mio ruolo. Che è pesante, perché un presidente non può sbagliare”.
Fare squadra, anche fuori dalla Cna, è stato difficile?
“Abbiamo evidenziato spesso problemi, avanzando soluzioni. A casa nostra, tra gli artigiani, dare linee guida era naturale. Ma fuori di casa non si può pensare che il proprio pensiero sia l’unico giusto. Serve quindi fare un passo indietro per un progetto comune, senza far prevalere solo il senso associativo. Avrei perso credibilità se mi fossi posto sempre con la forza dei numeri degli associati. Ma fare un passo indietro è quanto di più complesso”.
Un successo raggiunto?
“Penso al Tavolo per lo viluppo. Che è magari una piccola cosa, ma lì ogni forza economica e sindacale ha scelto di farsi rappresentare dalla Provincia. Anche come voce. Perché il Tavolo non poteva essere il luogo da cui far partire le istanze del singolo. Abbiamo creato un luogo in cui il valore aggiunto dato dal singolo è diventato il bene del sistema”.
Otto anni, forse i più difficili dell’economia fermana. Come l’hai vista cambiare?
“Abbiamo affrontato di tutto. Abbiamo vissuto il crack della banca, che ha destabilizzato socialmente la regione. Poi il terremoto e infine la pandemia. Tre emergenze che hanno intaccato un sistema che già era interessata dalla crisi economica del distretto calzaturiero. Già nel 2013 la crisi era protagonista, ma eravamo convinti di uscire puntando su innovazione e internazionalizzazione. Botta dopo botta, tutto si è indebolito. Ma noi possiamo ripartire”.
C’è speranza?
“Gli ultimi dati dicono che i distretti stanno ripartendo, tranne uno: moda e calzature”.
Come si supera la crisi?
“Dobbiamo andare oltre il Tavolo dello Sviluppo. Abbiamo acceso il faro grazie a questa intesa, ora deve diventare un tavolo nazionale. La moda non può farcela da sola a livello interprovinciale. Ci sono 24mila persone che vogliono lavorare”.
Area di crisi, ora la Zes. Ma c’è linfa vitale?
“Sappiamo che sia necessaria la riconversione di parte della produzione. Bisogna che attiriamo aziende da fuori, anche europee. Gli sgravi sono importanti, ma non bastano sette progetti con Invitalia per ripartire se non arrivano risorse da fuori. Regione e Camera di commercio fanno il possibile, dobbiamo interrogarci sul perché non riusciamo a crescere”.
Perché siamo fermi?
“Infrastrutture in primis. Una impresa come minimo vuole una logistica importante, una filiera dinamica. E questo vale anche per la cultura, perché se ci vuole un’ora per arrivare a 30 chilometri limitiamo tutto”.
Ora Zes e Recovery Plan. Aspettative?
“La prima cosa è il taglio del costo del lavoro, della decontribuzione. Serve nelle Marche, serve per i distretti inseriti nell’area di crisi complessa. Imprenditori e locali hanno fatto il massimo”.
La politica ha capito i problemi?
“La voce degli esponenti locali si è alzata. La proroga del blocco ai licenziamenti nel tessile dimostra che il Governo sta capendo. Spero che nel mentre si valutino vere soluzioni di rilancio”.
Crede sempre nelle aggregazioni tra le territoriali delle associazioni o servono difese peculiari?
“Il mio percorso parla da sempre di unioni. E Fermo perseguirà sempre la condivisione di forze. Regionalizzarsi non significa togliere autonomie, ma mettere insieme le buone prassi. Il presidio territoriale rimane sempre, ma una forza regionale è determinante. Noi un primo esempio l’abbiamo fatto unendo le società di servizi di Fermo e Macerata, rendendola unica e creando marginalità per agire. Questo non ha tolto peso alla parte ‘politica’ delle territoriali”.
Il futuro?
“Un’unica territorialità, creare un sistema come a Fermo: un presidente e poi riferimenti zonali. Insomma, una squadra con punti fermi ma che si muove come un guanto che a dare spunti veri al regionale e quindi al Nazionale. La nostra capillarità è un punto di forza e siamo l’associazione con più associati, ben 1677. A questi si aggiungono più di mille tra pensionati e cittadini comuni, un mondo a cui garantiamo riferimenti anche a livello sanitario”.
Camera di Commercio delle Marche, sempre convinto sia stata la soluzione ottimale?
“La risposta in un solo dato: nel 2019-2020 l’ente ha erogato 7milioni di euro per le imprese. 1939 imprese ne hanno usufruito. Ancona 344, Ascoli 246, Pesaro 278, Macerata 452, Fermo 620, ovvero 3milioni di euro. Una somma impensabile per la piccola camera di Fermo. Una somma che dimostra la resilienza delle nostre imprese, degli imprenditori del fermano. Se i bandi sono giusti, le aziende rispondono per fare badi giusti servono associazioni di categoria pronti e capaci all’ascolto. Noi in questo siamo stati bravi”.
Le aziende hanno sempre meno soldi, se lei avesse 10mila euro in che settore investirebbe?
“Se investiti bene, fruttano in ogni settore. Direi in digitalizzazione, anche nel calzaturiero. Se li metti sul turismo chiaro che oggi funzionano, perché questo è un territorio in fermento”.
Otto anni, c’è un incontro che l’ha emozionata o gratificato di più?
“La riconferma alla guida della Cna. Quel giorno ho capito che avevo fatto bene, che la strada intrapresa era giusta”.
E ora al suo posto arriva Emiliano Tomassini, è pronto per prendere il suo ruolo?
“Un grande imprenditore che come me, pensando al suo primo giorno trema come tremavo io stesso. Arriva dai Trasporti, per quattro anni è stato sempre al mio fianco nell’ufficio di presidenza portando istanze fondamentali. E proprio per questo come Cna ci siamo spesi tantissimo sulle infrastrutture”.
Silenzi, ma lei come farà senza la ‘sua’ Cna?
“Penso a Migliore, era un ragazzo e oggi è un uomo maturo, come me. Abbiamo affrontato mille avversità, so che lui c’è e con la sua caparbietà e senso del dovere farà bene. È davvero una persona rara, ha saputo creare una squadra propedeutica che oltre alle problematiche che il presidente deve far emergere deve trovare le soluzioni.
Questo team conta di 24 dipendenti che al nuovo presidente daranno tutto quanto imparato in questi otto anni. Un gruppo carico di orgoglio, che ha saputo resistere anche durante il lockdown, dove ogni giorno abbiamo garantito servizi e risposte agli artigiani colpiti da Dpcm che cambiavano in continuazione. Un lavoro che l’associazione nazionale ci ha riconosciuto, con un premio che ritireremo a fine luglio. Inutile negarlo, questa grande squadra mi mancherà”. Ad maiora.
@raffaelevitali