di Chiara Fermani
“Il grazie sincero e di cuore di un paziente che siamo riusciti a estubare, al quale oggi ho fatto fare una video chiamata alla sua famiglia. Un grazie che non ha prezzo, che ci dà la forza per continuare a combattere contro questo mostro di cui non vediamo neanche il volto”.
Questo è il post che ha pubblicato qualche giorno fa, su Facebook, una giovane infermiera fermana che da tre anni lavora nel reparto di rianimazione e oggi è in prima linea contro il Covid 19 nelle Marche. Il suo post segue quelli di tante infermiere e infermieri del Murri, dove anche il direttore dell’Area Vasta Licio Livini riconosce la difficoltà: “Sappiamo di avere solo i quantitativi sufficiente per garantire la sicurezza. L’operatore sa che non può sprecare, perché i numeri sono risicati. È condizionante. Già è difficile lavorare in certi settori ed è fastidioso essere coscienti non avere tutto a disposizione. Rende tutto più difficile, ma non facciamo mancare nulla per farli stare in sicurezza”.
E così, lei in corsia, come tante altre e altri, mentre c’è chi a casa li aspetta, preoccupati. E con una delle mamme abbiamo parlato per dare voce a tutte.
Come si sente a dover fronteggiare una paura, in questo caso doppia?
“Mi metto nei panni di chi come me ha dei figli infermieri, sono sempre in contatto con altri genitori che sono in pensiero per i propri figli e cerchiamo di farci forza a vicenda. Sentiamo parlare dei nostri figli come degli eroi e siamo estremamente fieri di loro, questo ci permette di andare avanti. Vorremmo che tutti questi post di ringraziamento non rimangano solo parole, ma diventino tutele e rispetto per queste professioni”.
Questi ragazzi, spesso giovanissimi, si trovano in una situazione che mai pensavano di dover affrontare quando hanno scelto questa professione, cosa percepisce nelle parole di sua figlia?
“Si, sono giovanissimi, la maggior parte ha dai 24 ai 30 anni e molti non hanno mai sperimentato cosa significa il sacrificio, hanno avuto una gioventù normale e ora si trovano catapultati in una guerra. Io riesco a sentire mia figlia, anche solo con un messaggio, quasi ogni giorno, i turni sono massacranti, ma la sua voglia di lottare è viva e vegeta, da mamma sento questo”.
In che modo cerca di starle vicino in questo momento?
“Anche con un semplice messaggio, il buongiorno, la buonanotte, foto di vita quotidiana, foto dei nipoti, insomma tutto ciò che per un momento le faccia abbandonare il pensiero dell'ospedale e dei malati. Qualcosa che le permetta di ricaricare le pile. E soprattutto la rassicuro di non preoccuparsi per me, noi possiamo stare al sicuro e loro no, quindi facciamolo tutti”.
Le chiede mai perché ha scelto di fare questo lavoro?
“Si, spesso. Soprattutto le chiedo perché abbia scelto proprio il reparto di rianimazione e la sua risposta mi ha sempre toccato molto, dice che lei è parte di quel filo sottile tra la vita e la morte dei suoi pazienti. Mi auguro che questi ragazzi siano supportati sempre, hanno fatto una scelta e la stanno portando avanti tra mille difficoltà, bisogna rispettare il loro lavoro, tutelarlo e seguire le regole anche per loro”.