di Raffaele Vitali
PORTO SANT’ELPIDIO – L’ultimo saluto con il prete e il sindaco. Nessun altro. Questo è un funerale ai tempi del Coronavirus. Dolore che si unisce alla lontananza.
Sindaco Nazareno Franchellucci, lei ha scelto di accompagnare i suoi cittadini fino alla tumulazione, perché?
“Ognuno ha le sue paure. Una delle cose più terribili è che una persona stia male e chi le vuole bene non possa starle vicino. Umanamente questa cosa è straziante. Il tempo per pensare non manca, ho preso così la decisione di accompagnare i miei concittadini al funerale. Do un significato a quel momento”.
Non c’è nessuno?
“I familiari sono in quarantena. Il mio è un modo per far sentire la città con loro”.
Perché tanti casi a Porto Sant’Elpidio?
“Non è il numero il fatto, ci sono gli stati di salute, c’è qualcosa che anche noi non possiamo capire. Siamo arrivati a cinque vittime. Piccoli e dolorosi numeri che ricadono più nella sfortuna della persona che della situazione”.
Franchellucci, lei come la vive ogni giorno?
“Da sindaco abbiamo capito che bisognava agire. Da oltre dieci giorni tutto il personale è in telelavoro, continuando a erogare i servizi. Cerchiamo di tenere le persone a casa, per tutelare i nostri dipendenti. Questo implica tantissime telefonate, videoconferenze. Siamo già pronti per la conferenza dei capigruppo e poi per il Consiglio comunale per fare per la prima volta in videoconferenza. Abbiamo la necessità di approvare il bilancio di previsione, per poter spendere i soldi che oggi usiamo in somma urgenza. Dalle mascherine alle sanificazioni, tuti i Dpi”.
Ma quanto durerà tutto ciò?
“Direi almeno 15-20 giorni.
Spera nella Pasqua?
“Me lo auguro fortemente, più come speranza cristiana che come dati oggettivi”.
La città risponde allo stare in casa?
“Ero indignato, ma devo dire che sono almeno dieci giorni, dai primi comitati per la Sicurezza, che la situazione è molto migliorata. Lungomare vuoto, ma penso si possa fare meglio per l’approvvigionamento alimentare. Non credo che servano le file al supermercato. Penso che in una situazione come questa, ci sono modi e tempi per organizzarsi. Usiamo la consegna a domicilio dei supermercati. Se vogliamo è l’unico assembramento rimasto. Oggi contagiarsi è complicato, tutti sappiamo che dobbiamo stare ad almeno un metro dall’altra persona. Paghiamo per ora la mancanza di consapevolezza precedente”.
Imprese lavoravano, ora le bloccano. Concorda con la misura?
“Con alcuni imprenditori mi sono confrontato, con le grandi aziende subito. Chi lavorava con le firme già da 20 giorni usava protocolli molto rigidi. Altre fabbriche non avevano queste condizioni, tre ne ho dovute segnalare. Allora dico di sì, giusto chiudere. Se non si è pronti per poter affrontare il lavoro in maniera idonea, meglio così. Nel frattempo le imprese si organizzeranno. Quando si tornerà al lavoro, lo si farà con i presidi e le modalità giusti. E poi il 90% delle nostre fabbriche se non fosse stato obbligato a chiudere, avrebbe fatto cassa integrazione comunque”.
Ha scelto di dare i nomi ogni sera dei morti, perché?
“Non do i nomi dei defunti. Ma davanti al fatto che i familiari mi chiedono di farlo sapere, io lo faccio sapere. Non è una mia scelta, davanti alla solitudine i familiari mi chiedono di dirlo. Questo è un modo per partecipare e stringersi insieme. chi vuole mantenere l’anonimato, ci mancherebbe”.