di Raffaele Vitali
FERMO – Campione italiano di ginnastica, specialità sbarra. Carlo Macchini, sono passi un po’ di giorni, si è reso conto che è il numero uno italiano?
“Ancora no, diciamo che ogni tanto rivedo foto sul giornale e allora dico ‘ma sono io’.”
Cosa cambia nell’immediato diventando campione?
“Subito una grossa attenzione mediatica e poi vicinanza da tantissime persone. Senti il calore, nonostante questo periodo particolare. E nonostante in gara non ci fosse stato il pubblico la sensazione è stata davvero bella”.
Quanto pesa normalmente il tifo?
“Pensavo contasse di meno. E invece è importante e si sente la differenza, si sente la mancanza. Ho rivisto una gara mia vecchia con il pubblico, caspita che meraviglia se ci fosse stato. Alla fine però quello che conta il risultato”.
Senza pubblico si riscopre il rumore dell’attrezzo?
“In realtà lo sento più sugli altri. Quando sono sopra l’attrezzo, la testa fa un lavoro tutto suo. O mi isolo totalmente, per la concentrazione, oppure cerco di sfruttare questo rumore, questi suoni esterni dell’attrezzo per togliere l’attenzione da quello che sto facendo, tanto inserisco il pilota automatico”.
Vittoria che inseguiva da tempo, qualche avversario meno capace o lei perfetto?
“Sei anni di tentativi. Ho fatto un bell’esercizio, qualche avversario meno preciso, qualche imperfezione. Ma d’altronde sono sei anni che la inseguo, in passato l’errore era successo a me. La gara ha un tentativo soltanto”.
Ora cosa l’aspetta, altre gare?
“Ci sarebbero stati gli Europei a dicembre, ma il comitato dei medici non si prende la responsabilità di partecipare. Altre nazioni invece saranno in gara, l’Italia non ci sarà. Peccato, ci arrivavo in forma e da campione”.
Voi gareggiate da soli, la sicurezza non era garantita?
“Noi siamo totalmente individualisti, poteva esserci un problema per le gare di squadra, ma comunque di solito si sale in pedana da soli. La ginnastica, infatti, a livello nazionale non si è fermata quasi mai per gli allenamenti. A livello internazionale, invece il problema sono gli spostamenti”.
Ci fa vivere la giornata tipo di Macchini?
“Allenamenti mattina e pomeriggio. Sveglia alle 8, colazione e doccia fredda, 930 palestra per tre ore. Pranzo a casa e alle 15 si riparte fino alle 1930”.
Ma c’è una vita personale fuori dalla palestra per un atleta di livello?
“Bisogna impegnarsi a trovarsi una vita fuori dagli allenamenti. Incastrare i tempi non è facile, non si può uscire quando vuoi, il tuo corpo ti dice che sei stanco e quindi devi evitare di appesantirlo ancora. Quando ero più piccolo mi è mancato molto il lato sociale, oggi ho un equilibrio”.
E quando è stanco, sale in moto, sua seconda passione?
“In realtà più quando ho i pensieri, mi aiuta a rilassarmi. Altrimenti mi stendo sul letto o gioco alla playstation”.
Classe 1996, giusto definirla ancora giovane?
“Comincio a essere un veterano a dire il vero. Mi sono sempre sentito tra i più giovani, però a 24 anni l’età per la ginnastica comincia a sentirsi. Spero di poter andare avanti per molto tempo, mi sento esperto. Oggi la vita di un ginnasta si è allungata, ma diventa determinante anche cosa fai, s tutti gli attrezzi, se gli anelli o il volteggio. Si può arrivare a 30 senza problemi”.
Il sogno di Macchini sono un paio di Olimpiadi?
“Una è andata purtroppo, certo quello è un obiettivo. Ma parliamo di una intanto. La prima chance è bruciata, la mancata qualificazione è stata dura da digerire, ma ero consapevole di aver dato il massimo”.
Ci vuole forza anche per rialzarsi.
“L’importanza di aver vinto non è solo nell’aver vinto, ma averlo fatto dopo tante avventure e sconfitte. Dopo le fatiche, i dolori, gli acciacchi. Quando penso a tutto quello che c’è stato dietro, mi emoziono a dire sono campione italiano. Ecco la vera bellezza, non è solo il podio”.
Macchini, ma perché la chiamano bistecca?
“Parliamo di qualcosa che arriva da prima ancora di aprire l’account Instagram. Essendo chiaro di carnagione, la prima domenica al mare sono rimasto sul materassino per un paio d’ore. Sono tornato in palestra il giorno dopo con una mega riga sotto l’ascella. Ero una bistecca cotta da un lato e cruda dall’altro. Da lì l’allenatore mi ha chiamato bistecca ed è diventato il mio nickname su Instagram. Mi è piaciuto. E poi la bistecca è pura salute, anche se guardando la mia schiena sono più una costata” sorride.
Il suo legame con Fermo?
“Un legame gigante e continuo. Ho sempre vissuto a Fermo. Sono stra fortunato. Ho la palestra federale a Fermo e qui ci abito. La città è bella, ho il mare e la montagna. Lo dico e mi innamoro ogni giorno della mia città. Mi sento fortunato. Qui ho un tifo personale, tanti amici, persone vicine e care che mi tengono in forza. Un calore vero, sempre, non solo quando uno vince. Anzi”.
I sacrifici per diventare il Macchini di oggi?
“Il cibo una delle rinunce più grosse, l’ho sofferto. Soprattutto da ragazzo, non è stato facile. Ora sono così innamorato di questo sport che non vedo più sacrifici, ho imparato a gestirmi al meglio, so quando posso sgarrare. Sono più tranquillo, vedo solo il lato bello del lavorare in palestra.
Chi è il nemico dell’atleta, la pasta?
“No, direi solo gli eccessi. Mangio tutto, senza strafare ti godi tutto. E siccome la pasta al pomodoro e basilico è la mia passione”.
A chi dire grazie?
“Alle Fiamme Oro, la prima gara individuale che facevo con la loro divisa e ho vinto. Entrare nelle Fiamme Oro è la vera svolta per un atleta. Altrimenti è difficilissimo vivere con questo sport. Mancano sponsor, non c’è visibilità, la Federazione fa il possibile ma il sistema si ricorda di noi solo alle Olimpiadi”.
Macchini, ultima domanda: a chi dedica la vittoria?
“Alla mia famiglia, a mia madre che non mi ha mai lasciato. Ma questo successo arrivato nel 2020 lo dedico a chi ha avuto difficoltà serie e vere causate dalla pandemia. Chi è tornato a una vita normale e chi non ce l’ha fatta: il mio titolo lo dedico a loro”.
@raffaelevitali